Occupazione nazista: Roma “città aperta” e il ruolo di Papa Pacelli

Nella basilica dei Santi Quattro Coronati, la riflessione dello storico Andrea Riccardi e di monsignor Lonardo (Vicariato), nell’ambito degli incontri “Ascoltando i maestri”

Nello scrigno di arte e bellezza che è la basilica dei Santi Quattro Coronati, afferente al monastero di clausura che sorge alle pendici del Celio, la voce di una delle monache agostiniane è risuonata forte venerdì sera, 22 marzo, nel rileggere alcune pagine del Memoriale delle cronache della vita monastica dal 1548, anno in cui le suore si insediarono nel monastero. Scelto come cornice per l’incontro del ciclo di riflessione e approfondimento “Ascoltando i maestri” dedicato a “Roma città aperta 1943-1944” e organizzato dall’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria, questo stesso luogo, si è appreso dalla lettura della religiosa, per ordine del «Santo Padre Pio XII che vuol salvare i suoi figli, anche gli ebrei», diede «ospitalità a questi perseguitati», garantendo loro «oltre all’alloggio anche il vitto, facendo miracoli per il momento che si traversava». Il “momento” è quello che va dalla fine del 1942 al 6 giugno 1944, e comprende quindi il periodo dell’occupazione nazista a Roma fino alla liberazione della città, avvenuta il 4 giugno del ’44.

In quegli anni «ci fu una risposta spontanea di accoglienza, segno di una grande creatività, da parte di tanti religiosi e religiose non solo nei confronti degli ebrei ma anche di tanti ricercati – ha detto nel suo intervento lo storico Andrea Riccardi – e questo generò un incontro incredibile tra mondi diversi»; dietro tale risposta umana e libera, tuttavia, «ci fu sicuramente anche un invito da parte del Vicariato di Roma e della Segreteria di Stato vaticana, cioè ci fu un sistema organizzato e la volontà di nascondere gli ebrei, oltre 4mila, per esempio con l’estensione dell’extraterritorialità. Forse in alcuni casi, non sempre, i nazisti “chiusero un occhio” e si creò una sorta di fair play con l’unica autorità della città: il Vaticano», sono ancora le parole dell’esperto. Per questo, per Riccardi, va soppesata attentamente la teoria «degli studiosi che sostengono che Papa e Vaticano se ne tennero fuori perché a nessun religioso poteva essere chiesto di rischiare la vita», considerando pure il fatto che «fa sorridere l’idea che potesse esserci un qualche documento vaticano in proposito» dato che «chi avrebbe fabbricato una prova contro sé stesso per un’attività proibita e clandestina?», si è chiesto retoricamente lo storico.

Da qui le considerazioni sul silenzio di Pio XII sulla deportazione degli ebrei e sull’essere stato davvero «un Papa silenzioso rispetto a quello che stava accadendo», questione sollevata da Francesco d’Alfonso, dell’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria e moderatore della serata. «Il problema del silenzio di Papa Pacelli, che non ha condannato la Shoah e il nazismo e che non scomunicò Hitler, nasce nella seconda metà degli ani ’60 – ha ricostruito Riccardi -. Sicuramente Pio XII sapeva ma la sua scelta di non condannare ha a che fare con la volontà di non fare della Santa Sede un tribunale, primariamente perché il Papa non deve prendere posizione tra due Paesi in guerra, un po’ come accade oggi con Papa Francesco. Ancora, c’era la preoccupazione del pontefice per la fragilità del cattolicesimo tedesco». Rispetto a questa questione e a «scelte che non sono da nascondere ma da cercare di capire e anche rispettare», Riccardi ha poi sottolineato, concludendo, come «lo storico non deve giudicare ma comprendere».

Da parte sua, monsignor Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio del Vicariato che ha promosso l’evento, ha guardato agli anni di “Roma città aperta” – cioè smilitarizzata – a partire dall’omonimo film di Roberto Rossellini, osservando come sia «un film corale» che rispecchia «una coralità della gente» e che esprime «l’azione di un popolo e un ethos condiviso dalla città, che non era solo un’idea ma una relazione viva tra le persone». E tra le persone sussisteva «una rete vera mentre il dramma di oggi è che non ci sono relazioni» autentiche, quelle per cui «ognuno fa il suo piccolo pezzo, sapendo che tutti gli altri stanno facendo la stessa cosa». Di fronte al progetto di supremazia di Hitler che rinchiuse nei lager «non solo gli ebrei ma anche, in aree differenti contrassegnate da colori diversi, gli zingari, i testimoni di Geova, le suore e i preti, gli omosessuali», ha riflettuto ancora Lonardo, «cosa poteva fare un uomo se non quello che ha fatto ad esempio Giorgio Perlasca?», ossia dare voce alla compassione. Tra gli altri, il sacerdote ha citato anche l’umanità del «prete romano» don Pirro Scavizzi, rettore di Sant’Eustachio e cappellano militare nelle due guerre mondiali, che «fu inviato sul fronte russo ben 5 volte dal Papa per raccogliere notizie e capire come poter aiutare».

25 marzo 2024