Strutture di riabilitazione cattoliche, Open day il 13 ottobre

Oltre 100 le realtà che aderiscono all’iniziativa nel corso della quale i visitatori potranno toccare con mano la cura e la professionalità degli operatori. Don Angelelli (Cei): «Attenzione a chi è solo a casa senza reti di supporto»

Una rete di strutture cattoliche e di ispirazione cristiana che si occupano di accoglienza, terapia e riabilitazione di persone con disabilità mentale. Dove curare vuol dire prendersi cura dei pazienti, mentre ricerca scientifica, innovazione tecnologica ed efficienza si coniugano con solidarietà e prossimità. Anche verso le famiglie. È la fotografia delle realtà che fanno parte della rete Accolti.it, il progetto per l’accoglienza contro la segregazione e la cultura dello scarto lanciato la scorsa primavera dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei. Oltre 100 di queste strutture prenderanno parte sabato 13 ottobre al primo Open day nazionale nel corso del quale apriranno le loro porte ai visitatori. Don Massimo Angelelli è il direttore dell’Ufficio Cei.

Don Angelelli, le porte di queste realtà sono sempre aperte. Che segnale volete dare il 13 ottobre?
Sono sempre aperte ma invitare, tutti insieme e lo stesso giorno, le persone a venire a vedere e a toccare con mano la cura e la professionalità degli operatori, la qualità del lavoro che svolgono e lo spirito con cui lo fanno è un segnale forte, un grande valore di presenza e di testimonianza. Stanno circolando strane idee secondo le quali alcune di queste nostre strutture che ospitano persone con disabilità potrebbero essere percepite come luoghi di segregazione e allora diciamo: “Venite a vedere”, perché la conoscenza diretta abbatte barriere e precomprensioni e crea cultura e sensibilità.

Quindi nessun rischio segregazione?
Una struttura può diventare un luogo di segregazione quando non svolge il suo compito in maniera adeguata, come peraltro lo possono diventare quei “manicomi nascosti”, quei luoghi di segregazione occulti che sono i domicili dove realmente i disabili rischiano di essere condannati all’isolamento perché non hanno né servizi né reti di supporto, a volte neppure risorse economiche sufficienti. Spesso a causa della loro solitudine nessuno li mette in condizione di accedere ai servizi.

Dunque l’emergenza vera sono le abitazioni private?
Le strutture autorizzate che in qualche modo svolgono un servizio pubblico hanno il pregio di essere monitorate. Purtroppo invece non sappiamo che cosa realmente accada nei domicili privati. Questa è la mia grande preoccupazione. Certamente la struttura non è l’unica soluzione né la principale ma a volte è una scelta obbligata, l’unica possibile per persone completamente sole senza una rete sociale di supporto. Talvolta poi, le famiglie non riescono a sopportare il carico di una persona con grave disabilità in casa. Lì bisogna intervenire con una serie di servizi sul territorio e di supporto alle famiglie stesse e, laddove necessario, anche con un sostegno economico per permettere alle persone con disabilità di vivere una dimensione piena della vita.

Il problema della disabilità mentale tuttora ricade per lo più sulle famiglie
Un aspetto che la legge Basaglia non ha affrontato né risolto. A distanza di 40 anni sono stati sviluppati in alcuni casi servizi collaterali di supporto ma troppo spesso il peso grava sulle famiglie stesse. Allora l’idea di aprire le nostre strutture per un giorno, tutti insieme, ha fondamentalmente lo scopo di sensibilizzare la popolazione al problema per capire che in questo ambito occorrono grande professionalità e una rete sociale di supporto per le famiglie, che altrimenti rischiano di essere schiacciate.

Quante strutture aderiscono all’Open day?
Oltre 100 su tutto il territorio nazionale, da nord a sud. Sul sito Accolti.it c’è una loro mappa e per ognuna di loro una sintetica scheda descrittiva: chi sono, che cosa fanno, a servizio di chi e dove si trovano. Un’ideale mappa solidale dell’accoglienza nella quale i diversi puntini raccontano una grande varietà e sensibilità. Ovviamente sono solo una parte delle realtà che svolgono questo servizio. L’Open day però non vuole soltanto dimostrare la qualità e la professionalità dell’impegno di queste strutture; vuole anche accendere i riflettori sui tanti soggetti senza alcuna rete di supporto che se non ci fossero le nostre realtà ad accoglierli sarebbero segregati in luoghi impensabili o abbandonati per strada. Sappiamo di persone che vivono sole nelle proprie case dove i servizi sociali o i servizi sanitari territoriali riescono ad andare per due ore al giorno. Finito il servizio, per le 22 ore successive rimangono abbandonate a se stesse. Questa è la vera emergenza. (Giovanna Pasqualin Traversa)

5 ottobre 2018