A Roma un “Ospedale da campo” per i giovani

Don Giovanni Carpentieri ha presentato al convegno promosso da Cism e Usmi sulle nuove sfide della carità il progetto dedicato alle periferie “abitate” dai ragazzi romani. La strada da seguire? «Quella del buon samaritano»

«Una situazione tragica, al collasso, invisibile ma devastante». Don Giovanni Carpentieri, impegnato nel progetto diocesano “Ospedale da campo” promosso in collaborazione con i Rogazionisti, descrive così la situazione di Roma e dei suoi giovani. L’occasione: il convegno promosso dalla Conferenza italiana superiori maggiori (Cism) e Unione superiore maggiori d’Italia (Usmi), in corso fino al 6 dicembre alla Domus Pacis. 250 tra religiose e religiosi, referenti regionali dell’area Solidarietà della Cism e dei Servizi sociali dell’Usmi, collaboratori delle Caritas diocesane, tutti a confronto sul tema “Con Papa Francesco verso le periferie della storia”. A pochi giorni dall’apertura ufficiale dell’Anno dedicato alla vita consacrata. «Con l’uragano Francesco – dichiarava presentando l’iniziativa suor Emma Marinelli, referente dei Servizi sociali Usmi – vogliamo raccogliere insieme le spinte che da lui provengono e offrire alla vita religiosa nuovi e stimolanti percorsi». Come quello segnato, appunto, dal progetto “Ospedale da campo”.

Abitare le periferie, «soprattutto quelle esistenziali», con lo stile del buon samaritano. Non parlare ma, «come il Signore Gesù, prendersi carico dei giovani caduti nelle trappole dei briganti. E di ladroni oggi ce ne sono tanti». La strada da seguire per il sacerdote romano è questa: quella che conduce direttamente ai luoghi dei giovani. Quelli in cui i ragazzi oggi vivono, «o meglio si lasciano vivere»: scuola, divertimento, ma anche zone di prostituzione, spaccio di droga, contrabbando. «Ambienti, questi ultimi, che non conoscono crisi». Come il buon samaritano, allora, occorre prendere in carico lo sventurato, attivare risorse – «l’oste» -, mettere in rete gli spazi – «l’osteria» -, pagando anche in prima persona. E poi tornare, e se necessario saldare il conto. Soprattutto per quei «giovani schiavi, che non si sentono dipendenti e quotidianamente continuano a distruggersi».

La sfida, per don Carpentieri, è «resettare la pastorale, rendendo ordinaria questa operazione, così come l’oratorio, il teatro e la polisportiva». Iniziando, «come comunità», un percorso di inversione rispetto alla marginalità. Quattro le tappe indicate. La prima: la presenza negli ambienti giovanili, dai luoghi informali di aggregazione ai campi rom, ai circuiti della prostituzione, «in collaborazione con operatori del settore, educatori, agenzie educative». La seconda tappa è la presa in carico del giovane in condizioni di disagio, con interventi a carattere sanitario, psicologico, legale, sostegno scolastico, in rete con insegnanti, famiglie tutor, esperti legali. Quindi, si procede con l’accoglienza: alloggio e mensa temporanea, assistenza per figli a carico e quanto sia necessario, in sinergia con congregazioni religiose, parrocchie, enti no profit, aggregazioni, confraternite e comunità. Ultima tappa: lo studio o l’impiego, attraverso orientamento, formazione e quindi inserimento, attraverso il supporto di aziende operanti sul territorio o in collaborazione con imprese sociali.

Il progetto, informa don Giovanni, è già operativo e «offre ora la possibilità, a chi è interessato, di coinvolgersi in uno dei 4 ambiti in cui si ritiene opportuno attivarsi, condividendo risorse umane, spazi, competenze professionali o di volontariato». Per informazioni: tel. 338.1863803, don.giovanni@inwind.it.

5 dicembre 2014