“24 Ore per il Signore”: un segno per la riconciliazione

L'appuntamento con l'iniziativa il 12 e 13 marzo. L'arcivescovo Fisichella: proposte in linea con le restrizioni, a tutela della salute di tutti. L'invito a «viverla in maniera più intensa e direi spirituale»

Torna l’appuntamento con la “24 Ore per il Signore”, in programma il 12 e 13 marzo, alla vigilia della quarta domenica di Quaresima, con il tema “Egli perdona tutte le tue colpe”. Un evento che risentirà, come lo scorso anno, degli effetti della pandemia: «Purtroppo la situazione sanitaria incide in maniera notevole – spiega l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione – perché anche quest’anno non sarà possibile alcuna celebrazione con il Santo Padre per evitare assembramenti. Abbiamo però la possibilità di viverla in maniera più intensa e direi spirituale, anche con la presenza di poche persone. Abbiamo dovuto trovare delle soluzioni affinché la celebrazione possa avere continuità nonostante le restrizioni a tutela della salute di tutti».

Può farci qualche esempio?
Nel sussidio che abbiamo preparato, abbiamo indicato alcune possibilità, ovviamente avendo presente il mondo intero, non solo l’Italia, dove peraltro ci sono Regioni con colori diversi. Dove c’è un divieto assoluto di spostamento, la “24 Ore per il Signore” dovrebbe essere un’occasione per dare ulteriore conforto alla comunità cristiana. Per esempio abbiamo dato indicazioni perché i cappellani degli ospedali, delle case di cura, delle strutture per anziani e delle carceri offrano una presenza maggiore perché, con le dovute precauzioni, possano essere il segno della riconciliazione, del perdono che viene. Abbiamo anche chiesto che il parroco e i suoi collaboratori possano in qualche modo attraversare il territorio benedicendo le persone e le case, come segno di sollievo. Dove invece, come sembra anche in Italia, sarà possibile almeno una celebrazione parziale, su indicazioni delle Conferenze episcopali, abbiamo chiesto che ci siano una stanza per ascoltare le confessioni a debita distanza oppure, nel caso di uso dei confessionali, che si predispongano protezioni sul modello di quelle che vediamo in tanti negozi. Il Covid non ci blocca ma ci provoca a trovare forme per essere presenti ed essere segno del perdono.

Il Papa, anche nel video della Rete mondiale di preghiera con l’intenzione di marzo, invita a riscoprire la bellezza della misericordia di Dio. Eppure tanti hanno paura o vergogna del confessionale. Come aiutarli?
Cercando di far comprendere il vero senso della confessione. Tante volte nella pastorale abbiamo tralasciato questo momento che invece è di grande importanza, cioè rispondere all’interrogativo “Perché devo confessarmi? Perché è necessaria la confessione nella mia vita?”. D’altra parte spesso mi meraviglio di come tendiamo nella formazione ad abbandonare queste forme e poi le ritroviamo pubblicizzate sotto altre vesti in alcuni spettacoli. Per cui ci si ritrova in certe trasmissioni con il confessionale in cui una persona, sola, davanti a milioni di spettatori, esprime se stessa. L’esigenza di aprire il proprio cuore, di far conoscere la propria vita, oggi è sentita in maniera fondamentale. Però a volte non si coglie l’opportunità più coerente per aprire il proprio cuore e riconoscere di aver bisogno di un’altra persona e soprattutto di Dio. Siamo tentati di dire tutto o quasi della nostra vita senza avvertire l’esigenza di aprire il cuore fino in fondo a chi ci ama. Il punto è questo: l’esigenza della confessione proviene dal desiderio intimo di ciascuno di sentirsi profondamente amato perché perdonato.

Lei è stato recentemente ricevuto dal Santo Padre. Avete parlato di questa iniziativa?
Con il Papa abbiamo concordato le modalità in cui si svolgerà la “24 Ore per il Signore” ma soprattutto l’opportunità di altre iniziative che nelle prossime settimane saranno
esplicitate, per dare un segno di speranza, per far capire che la pandemia che ci sta mettendo a dura prova deve renderci capaci di guardare il futuro con occhi diversi. A breve saremo nella condizione di esprimere in maniera forte questa esigenza perché la parola della Chiesa, del Papa, dei nostri sacerdoti possa essere un’espressione genuina di ripresa di un cammino interrotto.

La situazione mondiale legata alla pandemia può rappresentare una spinta a una vera conversione del cuore?
Sicuramente, ma la conversione non deve avvenire perché siamo posti davanti a contingenze che il più delle volte sono forma del limite e della nostra contraddizione. L’esigenza della conversione viene davanti a una profonda esperienza d’amore. Non dovrebbe partire da un’esperienza negativa ma da quello che è il desiderio intimo presente in ogni persona di amare ed essere amato. Solo dove c’è un’autentica esperienza d’amore si arriva a una radicale trasformazione di se stessi, a quel cambiamento, quella “metánoia” di cui parliamo. Non dimentichiamo che questo è l’annuncio del Vangelo, che proviene dal Figlio di Dio che si è fatto uno di noi per amore.

10 marzo 2021