“Amy Foster”, l’esule visto da Conrad

In uno stile di magistrale concisione narrativa, tutti i nuclei tematici legati alla tragica avventura del migrare, incredibilmente simili a quelli di oggi. Oltre lo sguardo coloniale di cui è stato accusato

La misura breve in Joseph Conrad è sempre aurea: lo conferma Amy Foster, prezioso racconto ripubblicato da Einaudi nella nuova versione di Susanna Basso (pp. 55, 12 euro), singolarmente attuale: la storia di un naufrago, Yanko Goorall (anche se il lettore apprende il suo nome solo a narrazione inoltrata), «un povero migrante dell’Europa centrale diretto in America e gettato a riva dalla tempesta», unico sopravvissuto, che viene considerato una specie di pazzo dalla comunità inglese dove cerca rifugio.

Non parla la lingua del posto, si esprime in un idioma incomprensibile, è affamato, infreddolito, coi capelli lunghi scarmigliati, gli occhi neri accesi. Il carrettiere lo prende a frustate. I ragazzi gli lanciano contro dei sassi. Una signora lo percuote con l’ombrello. Una famiglia di proprietari terrieri, gli Smith, lo accoglie come se fosse un animale randagio. Per fortuna arriva Mr. Swaffer, allevatore di pecore e commerciante di bestiame, che lo assume nella sua fattoria in qualità di lavorante, scoprendo nel poveretto, apparentemente squilibrato, alcune doti che gli fanno molto comodo: «Poteva aiutare con l’aratura, sapeva mungere le vacche, dar da mangiare ai vitelli nel recinto e dava una mano con le pecore».

Quando lo straniero salva la nipotina del proprietario, caduta nell’abbeveratoio dei cavalli rischiando di annegare, si conquista la fiducia del suo benefattore, ma non quella dei locali che fanno fatica a considerarlo uno di loro. In realtà, sin dalla prima notte c’era stata una persona che l’aveva soccorso: Amy Foster, per l’appunto, giovane contadina degli Smith, non bella ma di buon cuore, la quale, vedendolo rinchiuso nella legnaia, gli aveva dato un pezzo di pane bianco.

A raccontare tutta la vicenda, come sempre in Conrad, è un personaggio laterale, innominato, che a sua volta la raccoglie da un testi-mone diretto, in questo caso il dottor Kennedy, medico condotto, amabile chiacchierone. Amy e Yanko s’innamorano, si sposano, hanno un figlio, ma non ci sarà un lieto fine: i pregiudizi paesani nei confronti del migrante continueranno a perseguitarlo e la stessa protagonista si allontanerà da lui, ammalato e fatalmente solo.

A restare incisi nella nostra mente, oltre allo stile di magistrale concisione narrativa, sono i nuclei tematici legati alla tragica avventura dell’esule, così incredibilmente simili a quelli di oggi: l’inganno subìto in patria da parte di alcuni lestofanti, interessati soltanto a occupare le case degli emigranti e quindi pronti a spacciare l’America per una sorta di mitico Eldorado; il viaggio rischioso e sofferto verso un sogno irrealizzato; la reazione diffidente e crudele della nuova società nei confronti dell’ospite indesiderato. Conrad è stato spesso accusato da alcuni critici di assumere uno sguardo coloniale, legato all’imperialismo britannico, ma in questo bel racconto dimostra il contrario.

4 aprile 2023