Aprirci al mistero del Dio fatto uomo per illuminare la notte dell’umanità

L'editoriale del prelato segretario del Vicariato di Roma su Roma Sette. Il dramma e la speranza nella figura di san Giuseppe. «Contemplare il presepe»

Nel tempo di Avvento nelle parrocchie, negli uffici, nelle scuole e soprattutto nelle case si allestisce il presepe. Tale usanza, che può sembrare solo tradizionale, diventa ogni anno un vero aiuto per l’evangelizzazione e ragione di consolazione. E quest’anno ancor di più, a motivo della Lettera apostolica “Admirabile signum” che Papa Francesco ha indirizzato a tutti i fedeli in occasione del Natale 2019. In essa si legge: «Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo».

Contemplando il presepe, desta particolare interesse la figura di san Giuseppe e l’intimo dramma vissuto da quest’uomo. Tale dramma è ben rappresentato dalla presenza di un pastore rivestito di pelli, che la tradizione iconografica orientale identifica con un pastore denominato Tirso, il quale sembra intrecciare un subdolo dialogo con lo sposo di Maria. L’«intruso pastore», dietro il quale è sempre stato identificato il demonio, insinua nel Patriarca un profondo senso di colpa per non aver custodito adeguatamente la sua promessa sposa ed il dubbio sulla reale onestà della Vergine Santa. Mostrandogli poi un bastone, turba e sconvolge l’afflitto animo di Giuseppe con queste parole: «Come questo bastone non può produrre fronde, così una vergine non può partorire». Giuseppe deve pertanto decidere se credere alle parole dell’arcangelo Gabriele o alla contraddittoria verità che gli si palesa davanti.

Quante volte anche noi corriamo il rischio di ascoltare ed accogliere le pericolose insinuazioni dell’antico Serpente! Quante volte il diavolo ci sommerge con pressanti sensi di colpa inchiodandoci al passato senza nessuna prospettiva! Quante volte ci invita a sospettare di tutto e di tutti, chiudendoci in un isolamento amaro e risentito. Quante volte l’antico Avversario vorrebbe convincerci che anche nella Chiesa le delusioni, le cadute e gli scandali non lasciano più spazio a Dio e alla sua opera.

Si tratta però solo di sottili tentazioni che mirano a distruggere la fede, a minacciare la speranza e a raggelare la carità. L’annuncio dell’angelo viene però in soccorso alla nostra debolezza e spazza via tutte le angosce. Nelle parole del messo celeste si trova il vero antidoto a tutti i dubbi: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20–21).

Giuseppe, come noi, si trova di fronte a due possibilità: credere alla suggestione demoniaca o fidarsi della realtà povera e fragile che ha dinnanzi: lì si è incarnato Dio; da lì scaturirà il perdono per tutto il male della storia. In fondo è ciò che, ogni giorno, caratterizza la nostra vita: accettare che negli squilibri e nelle contraddizioni della nostra storia possa brillare la mirabile opera di Dio.

Ecco perché attendere la notte santa di Natale; ecco perché contemplare il presepe dove «giace povero ed umile Colui che regge il mondo nella stalla di Betlemme». Lì Dio si è fatto uomo, per dare una risposta agli interrogativi sul senso del male, della sofferenza e della morte, che oscurano spesso gli orizzonti della nostra vita. Il Padre ha provveduto, per noi, «la luce vera quella che illumina ogni uomo».

Il figlio di Dio irrompe nella storia e nella notte di ogni suo figlio per fugare le tenebre del buio, smascherare la falsità dei sensi di colpa, annientare i sospetti sul suo amore di Padre. Il “Redemptoris Custos” ci conceda di aprirci ogni giorno al Mistero del Dio fatto uomo che la Chiesa conserva intatto, per illuminare con esso la lunga notte dell’umanità.

23 dicembre 2019