«Il giovane favoloso», un Leopardi riuscito

Nonostante qualche lunghezza finale, il racconto mantiene compattezza espressiva e solidità visionaria, unica via per restituire ai giorni nostri una biografia tanto rapida quanto intensa

Presentato in concorso alla recente edizione della Mostra di Venezia, il film Il giovane favoloso, appena uscito nelle sale, è forse il primo grande evento di questa stagione italiana. Vi si parla di Giacomo Leopardi, a partire da quando, fin da piccolo, passa gran parte della giornata nella grande biblioteca di famiglia a Recanati. A fargli compagnia ci sono il fratello Carlo e la sorella Paolina, a sorvegliarlo c’è il padre, conte Monaldo, uomo severo e arcigno. Tanto Villa Leopardi è ampia e spaziosa, quanto l’aria intorno diventa ben presto pesante per il giovane che in poco tempo ha tutto imparato e appreso e vorrebbe visitare altri luoghi.

Finalmente a 24 anni riesce ad allontanarsi, è a Firenze, per breve tempo a Roma, infine a Napoli, al seguito dell’amico Antonio Ranieri, che segue l’aggravarsi della sua malattia. Quando scoppia il colera, i due si trasferiscono in una villa immersa nel verde ai piedi del Vesuvio. Qui Leopardi muore nel giugno 1837, a 39 anni. Personaggio complesso, difficile, scomodo: da sempre Giacomo Leopardi è accompagnato da una tipologia caratteriale che mette quasi paura. Col passare dei decenni e con lo standardizzarsi della sua immagine nei libri scolastici (giovane di salute cagionevole, timido, colto oltre ogni limite) la sua figura ha assunto tratti iconici e stereotipati, fino diventare una sorta di «secchione» triste e smunto. L’operazione del regista è dunque coraggiosa e spregiudicata.

«La sceneggiatura – dice Mario Martone – attinge agli scritti di Leopardi e all’insieme del suo epistolario». La Recanati dell’inizio è davvero un «natio borgo selvaggio». La prima parte del racconto trasmette con forza di verità l’idea di un luogo tanto calmo quanto asfittico nella sensazione della impossibilità di un cambiamento. Si creano le premesse per quella che non è una fuga ma una necessità, il bisogno di sentire stimoli nuovi sulla pelle. Da Firenze a Napoli si aggravano le condizioni di salute, si rafforza il pessimismo e insieme l’ostinata convinzione che la seconda situazione non nasce dalla prima.

L’impossibile felicità è nella natura delle cose. Nonostante qualche lunghezza finale, il racconto mantiene compattezza espressiva e solidità visionaria, unica via per restituire ai giorni nostri una biografia tanto rapida quanto intensa. Il compito di restituire la follia e la grandezza di Leopardi è egregiamente assolto dal film: ricollocare l’uomo e il poeta tra le grandi menti che hanno scavalcato ogni tempo e ogni moda. Capace di aprirsi all’infinito, alla contemplazione dell’universo, al mistero della vita. Film da vedere e da proporre anche a vari livelli scolastici.

20 ottobre 2014