Italiani ad Auschwitz, la storia in una mostra

L’iniziativa curata e presentata dalla Fondazione Museo della Shoah. Il presidente Mario Venezia: «Già tante persone ci hanno chiesto di entrare»

Mostrare Auschwitz come lo vedevano i deportati italiani: questo lo spirito della mostra presentata in videoconferenza dalla sede della Fondazione Museo della Shoah, alla Casina dei Vallati, e che sarà visitabile alla riapertura dei musei, a partire da oggi, 1° febbraio. Il 27 gennaio, storico giorno della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, ha fornito dunque una simbolica occasione per riunire storici e testimoni dell’Olocausto nella presentazione dell’esposizione “Dall’Italia ad Auschwitz”, a cura di Marcello Pezzetti e Sara Berger.

Le foto e le testimonianze esposte raccontano la storia di persone arrestate tra il 1943 e il 1944 nel territorio italiano, poi deportate nel campo di Auschwitz-Birkenau. Ma, e questa è la scoperta, non si tratta solamente di persone di origini ebraiche, perché grazie alle indagini storiografiche condotte si è scoperto di una consistente deportazione “politica” di donne residenti nel territorio dell’Adriatisches Küstenland (litorale adriatico), e di un piccolo numero di rom, dato fino ad oggi sconosciuto. Come dichiara uno dei massimi storici della Shoah, il curatore della mostra Marcello Pezzetti, «questa è la storia di tutti gli italiani, cioè ebrei e non ebrei. Dei deportati italiani facevano parte persone catturate per motivi politici, ma anche chi venne imprigionato a causa di rappresaglie e non aveva alcuna identità ideologica. Venivano mandati ad Auschwitz anche gli ebrei che avevano cambiato religione, convertendosi al cattolicesimo, oppure i coniugi di famiglie miste. Rispetto agli altri, all’arrivo nei campi di sterminio i non ebrei potevano scampare alle dure selezioni all’ingresso nei campi, e a tutte le azioni volte allo sterminio sistematico del popolo ebraico».

È la prima volta che organizzazioni ebraiche e istituzioni di deportati lavorano insieme, come evidenziato da Pezzetti: «Insieme a Sarah Berger abbiamo confrontato archivi dei campi di Auschwitz e Mauthausen, con la piena collaborazione di tutte le istituzioni collegate». Si tratta del Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea) di Milano, della Fondazione Memoria della Deportazione, sempre di Milano, dell’Aned nazionale (l’Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti), l’Aned di Sesto San Giovanni e di Trieste, dell’Auschwitz-Birkenau State Museum. Il lavoro comune è stato svolto anche in previsione della realizzazione del memoriale italiano che sarà allestito dal Governo italiano nel Blocco 21 di Auschwitz. L’iniziativa si avvale del patrocinio della presidenza del Consiglio dei ministri, del ministero degli Affari esteri, del ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo, dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – Dipartimento per le Pari02 opportunità), della Regione Lazio, di Roma Capitale, dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, della Comunità ebraica di Roma, dell’Associazione Figli della Shoah e in collaborazione con il ministero dell’Istruzione.

«Dobbiamo pensare che ogni foto racconta la storia, per lo più drammatica, di una persona», conclude Pezzetti. Anche il presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma Mariomario vene Venezia indica l’elemento di novità storiografica: «Questo approccio nuovo dimostra che il passato va ancora approfondito, nonostante questa nostra storia sia stata a lungo oggetto di studio. Qui ci chiediamo cosa sia successo, già nella fase precedente alla prigionia, a molti italiani, ebrei e non. Ma soprattutto ricordiamo che la deportazione ha riguardato innanzitutto degli italiani, che vivevano, lavoravano e avevano famiglia come ogni altro cittadino. Grazie alle tecnologie aggiunge -, nonostante il lockdown, abbiamo raggiunto i giovani di tante scuole d’Italia, affamate di conoscenza».

Venezia evidenzia la voglia di riaprire le porte della Fondazione: «Non abbiamo voluto digitalizzare questa mostra, come invece abbiamo fatto con altre, perché auspichiamo di poter riaprire presto il Museo. Abbiamo già tante richieste e oggi, fuori dalla sede, tante persone ci hanno chiesto di entrare!». L’incontro, moderato da Micaela Felicioni, ha ospitato anche Virginia Raggi, sindaco di Roma, la quale ha evidenziato come «le testimonianze siano fondamentali perché dimostrano in maniera semplice e diretta ciò che è stato, ci rendono testimoni dei testimoni e quindi responsabili a nostra volta». Giovanna Pugliese, assessore al Turismo della Regione Lazio, ha ricordato i viaggi della memoria nei campi di Auschwitz e Birkenau insieme alla Fondazione. Tante le testimonianze, anche dirette, della Shoah. Come quella di Tatiana Bucci che insieme a sua sorella Andra ha riportato la sua storia nel libro “Noi, bambine ad Auschwitz”.

2 febbraio 2021