Johnson, il fascino dell’«isola»

Il diario del lungo soggiorno dell’autrice nella tenuta agricola a cui legò la sua esistenza, cadenzato sui 12 mesi del 1969, anno della guerra in Vietnam. La consapevolezza del prezzo della libertà

Nel 1934, a soli 25 anni, Josephine Johnson vinse il Premio Pulitzer con il romanzo Ora che è novembre battendo nientedimeno che Francis Scott Fitzgerald, il quale presentava Tenera è la notte, uno dei suoi libri più belli. Pareva l’inizio di una grande carriera letteraria: ma fu così solo in parte anche perché Josephine a un certo punto rinunciò, non certo alla scrittura, che per lei significava respirare, quindi sarebbe stato impossibile, bensì ad ogni effimero alloro. Insieme al marito, Grant Cannon, si trasferì in una casa sulle rive dell’Ohio, a contatto diretto con la natura ancora selvaggia. Lì, riservata ma non isolata, abitò per sempre fino al 1990, anno della morte, continuando a pubblicare testi per bambini e altri romanzi (fra cui ricordiamo Il viaggiatore oscuro, conosciuto anche in Italia), in una strenua difesa della propria dignità interiore, priva della mortificazione percepibile nell’opera di Emily Dickinson.

Ne è testimonianza L’isola dentro l’isola (Bompiani, traduzione di Beatrice Masini, 18 euro), diario del suo lungo soggiorno nella tenuta agricola a cui legò la propria esistenza, cadenzato sui dodici mesi del 1969. Anno della guerra del Vietnam, i cui notiziari non potevano che lasciarle l’amaro in bocca. Difficile resistere al fascino di queste pagine che danno l’impressione di essere state composte al microscopio con uno sguardo amoroso, ravvicinato e scientifico, sulle piante, gli animali e le stagioni.

L’autrice, stilista d’eccezione, ci lascia immaginare il baratro del tempo: «Nelle notti di tempesta si sentono i grandi massi gemere sotto la spinta dell’acqua – massi nati al principio del mondo, una volta il fondo di vasti oceani – ora sospesi, fatti rotolare e sospinti a valle… ». A gennaio sprofondiamo in un vortice gelato. A febbraio «il vecchio re dell’inverno è ancora vivo, si muove, ma è indifeso e sofferente». A marzo scendono a terra due colombe con un volo disastroso. «Aprile è un’aggressione, Troppo. Troppo di tutto». A maggio «una lucciola arde azzurra sul pelo delle volpi». A giugno «si avvicina il giorno del mio compleanno. Cinquantasette anni. Difficile crederlo, ma mi sento nuova ogni giorno». Luglio è «cieli, campi, stagni, una massa di merli alarossa». Ad agosto, di notte, giù nel torrente, il piccolo topo muschiato «traffica avanti e indietro», previdente, già si prepara una casa per l’inverno. Settembre avanza silenzioso come la tartaruga nella nebbiolina del mattino. A ottobre una grossa marmotta sbuca dal bosco. A novembre i pettirossi cantano nell’aria. A dicembre i fusti dei platani sono bianchi. Ma Josephine Johnson non si fa incantare: «Il Pentagono oggi è il potere più grande del mondo… È come il grande dio Moloch dentro il quale venivano gettati i bambini a mo’ di sacrificio. È il più vasto disastro innaturale…». A quel punto forse comprende quanto sia alto il prezzo della libertà.

16 maggio 2023