Terra Santa, Patton: «Serviranno tempi lunghi per risanare la ferita»

Il Custode intervistato dai media vaticani passa in rassegna la situazione, in particolare riguardo alla guerra a Gaza. «Occorrono leadership che lavorino per la riconciliazione»

«Desideriamo che questa guerra finisca, perché altrimenti il solco di odio ogni giorno diventa più profondo, e rimettere insieme i pezzi dopo sarà davvero molto difficile». Il Custode di Terra Santa padre Francesco Patton passa in rassegna con i media vaticani la situazione nei Luoghi Santi, guardando in particolare alla guerra nella Striscia di Gaza e alle tensioni in Cisgiordania. «C’è un disagio e una grande difficoltà ad affrontare questi temi – afferma – anche per noi cristiani di Terra Santa perché ci rendiamo conto benissimo delle sofferenze che ci sono da una parte e dall’altra. Ci rendiamo conto delle ragioni e dei torti da una parte e dall’altra».

Nelle parole del Custode, «serviranno tempi lunghi per superare questo tipo di ferita, perché la dimensione emotiva in questo conflitto è stata fortissima». Ma soprattutto, per risanare i cuori serve «molto tempo e soprattutto leadership illuminate, da una parte e dall’altra, che sappiano lavorare per una riconciliazione», come nell’Europa del Novecento dopo le due guerre mondiali, «con milioni di morti».

Con la guerra innescata il 7 ottobre scorso si è tornati a parlare dell’ipotesi dei “due popoli due Stati”, da sempre la posizione della Santa Sede. «Ora si è preso coscienza che la questione palestinese deve avere una soluzione politica – è l’analisi di Patton -. E quindi, il ritorno della teoria dei due Stati è legato anche al fatto che in questo momento credo non sia verosimile pensare a uno Stato unico. Il come concretamente mettere in piedi il secondo Stato, quello di Palestina – perché uno c’è già, quello di Israele -, ha bisogno sicuramente del contributo prima di tutto dei diretti interessati, cioè dei palestinesi», riflette ancora il francescano. «Non si può fare lo Stato di Palestina sulla pelle dei palestinesi, perché questa operazione è già stata fatta a suo tempo e non ha funzionato. Vanno coinvolti. Bisogna poi che i Paesi più influenti – in primis gli Stati Uniti, ma anche i Paesi arabi del Golfo – aiutino a trovare la forma adatta».

Ai media vaticani il Custode racconta anche il coinvolgimento dei fedeli cristiani, che «da un lato sentono di appartenere a un popolo, dall’altro sentono anche, in di essere chiamati ad andare al di là di una visione etnica. Anche i cristiani – aggiunge – soffrono molto, in questo momento, perché si trovano in mezzo e vengono tirati da entrambe le parti. C’è chi, da una parte e dall’altra, vorrebbe che i cristiani si schierassero in modo unilaterale. I cristiani sono la componente culturalmente più pacifica, e quindi quella che in qualche modo potrebbe dare un contributo, in futuro, a quel percorso di riconciliazione di cui parlavamo. Si sentono però frustrati perché, spesso dal mondo ebraico sono considerati semplicemente arabi e dal mondo arabo non sono considerati sufficientemente arabi in quanto cristiani». E in questo momento «è tornato il desiderio di emigrare». Di qui l’appello a «un sostegno concreto per poter aiutare i cristiani e la popolazione locale di fronte alle difficoltà economiche che la guerra ha portato».

6 ,aggio 2024