Censis, l’Italia che non investe più

Pubblicati i dati dell’istituto di ricerca fondato da Giuseppe De Rita: «Pericolosa faglia tra mondo del potere politico e corpo sociale»

Pubblicati i dati dell’istituto di ricerca fondato da Giuseppe De Rita: «Pericolosa faglia tra mondo del potere politico e corpo sociale» 

L’Italia del 50° Rapporto Censis è «una società che continua a funzionare nel quotidiano» nonostante le ferite della crisi. Il Rapporto, presentato oggi da Giuseppe De Rita, fondatore dell’istituto di ricerca che da mezzo secolo analizza le dinamiche profonde della vita del nostro Paese, individua tre «processi principali» nella fase in atto. Il primo, appunto, è questa tenuta della società da intendere «non come scettica passività dell’abitudine, ma come primato dell’impegno quotidiano dei soggetti economici e sociali».

Le imprese continuano a operare nelle «dinamiche di filiera»; le famiglie continuano a «coltivare i loro risparmi e i loro patrimoni»; il sistema di welfare continua «la sua lucida e spesso dura quadratura»; il territorio continua a essere «un fondamentale fattore dello sviluppo»; l’incremento dei flussi turistici continua a confermare «la prosperante attrattività del nostro Paese» e anche il Sud «non ha mostrato cedimenti da sommare a cedimenti del passato».

Allo stesso tempo, ed è il secondo grande processo, «la società rumina e metabolizza gli input esterni», che il Censis esemplifica nella questione dei migranti, nella crescente digitalizzazione che «mette in crisi l’intermediazione burocratica del ceto impiegatizio» e nello snodo legislativo e giurisprudenziale relativo ai diritti individuali. Questa società che funziona nel quotidiano e metabolizza gli input esterni – e siamo al terzo processo – è anche una società che «cicatrizza le ferite più profonde», dalla crisi dell’identità europea nel dopo-Brexit alle conseguenze del terremoto e ai contraccolpi del distacco sempre più grave tra élites e popolo.

Si va instaurando una «pericolosa
faglia» tra «mondo del potere politico e corpo sociale, che vanno ognuno per proprio conto, con reciproci processi di rancorosa delegittimazione». Lo afferma il 50° Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato oggi a Roma. In questo contesto «le istituzioni (per crisi della propria consistenza, anche valoriale) non riescono più a “fare cerniera” tra dinamica politica e dinamica sociale» e vanno «verso un progressivo rinserramento».

Nella storia italiana, dal
Risorgimento in poi, secondo il Censis sono state «la potenza e l’alta qualità delle istituzioni a fare la sostanza unitaria del Paese». Ma oggi, afferma ancora il Rapporto, le istituzioni «sono inermi (perché vuote o occupate da altri poteri)» e «incapaci di svolgere il loro ruolo». Di conseguenza, si assiste così a «un inedito parallelo “rintanamento chez soi”: il mondo politico e il corpo sociale coltivano ambizioni solo rimirandosi in se stessi».

Da un lato «la politica afferma
orgogliosamente il suo primato progettuale e decisionale», dall’altro «il corpo sociale rafforza la sua orgogliosa autonomia nel “reggersi”». E ciò determina «una congiunta alimentazione del populismo». Di fronte a questa prospettiva, il Censis osserva che sarebbe necessario, da parte sia del mondo politico che del corpo sociale, «dare con coraggio un nuovo ruolo alle troppo mortificate istituzioni».

La crisi, soprattutto per i risvolti occupazionali, lascia senza redditi da lavoro quote crescenti di famiglie. Ma «la deprivazione – sottolinea il 50° Rapporto Censis presentato oggi a Roma – coinvolge anche famiglie che sono al di sopra della soglia di povertà». Il Rapporto osserva che crisi e ripresa stentata hanno creato un «gorgo» che «può attirare a sé anche chi tradizionalmente è rimasto lontano dal disagio». Questo, sottolinea il Censis, «genera un’incertezza diffusa e spinge a pensare che solo pochi sono fuori dal rischio di cadere in condizioni di disagio».

Il Rapporto ricorda che sono 6,9 milioni (dati 2014) le persone in condizione di «deprivazione materiale grave», con uno zoccolo duro di 4,4 milioni che sono in tale situazione dal 2010. Le famiglie in «severa deprivazione abitativa» sono 7,1 milioni, quelle in «povertà alimentare» oltre 2 milioni. Sono circa 11 milioni (dati 2016) gli italiani che hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare per motivi economici alcune prestazioni sanitarie. Segnali di segno diverso arrivano dal mondo dei pensionati, il cui reddito medio è salito da 14.721 a 17.040 euro nel periodo 2008-2014.

Ma si tratta ovviamente di
un dato medio dietro al quale si registrano disuguaglianze vistose. Comunque, rileva il Censis, «i pensionati non possono essere considerati solo come recettori passivi di risorse e servizi di welfare, perché sono anche protagonisti di una redistribuzione orizzontale di risorse economiche: sono 4,1 milioni quelli che hanno prestato ad altri un aiuto economico».

2 dicembre 2016