Festa e misericordia
Gesù stesso vive questo segno, e lo trasforma nel segno della salvezza e della vita eterna già all’inizio della sua predicazione, nelle nozze di Cana
Gesù stesso vive questo segno, e lo trasforma nel segno della salvezza e della vita eterna già all’inizio della sua predicazione, nelle nozze di Cana
In un mondo che non disdegna il senso della “festa”, anzi ne fa uno dei motivi più ricercati e amati del vivere odierno, siamo portati a confondere, purtroppo, la festa con il riposo. Quando pensiamo al nostro riposo e al nostro giorno/tempo di riposo, siamo capaci di accendere, contemporaneamente, la lampadina della festa, del momento esaltante del vivere insieme, di uno spazio e un tempo da occupare con appagamento, euforia, da vivere con i nostri amici! La festa di cui parleremo non è affatto questo, né è confondibile con il riposo. Il momento della festa, di cui troviamo tanti riferimenti nella Bibbia, è un momento particolare, speciale, un segno, un dono di Dio per gli uomini in cui Dio stesso rimane coinvolto come partecipante, non solo come protagonista. È il momento della gioia perché ci sono motivi per gioire, ci sono motivi per celebrare la vita e le sue occasioni.
Il punto non è stabilire un confine netto tra la festa sacra e la festa profana o, peggio, la giusta commistione fra i due; il punto è riflettere sulla misericordia che ci è donata nel segno della festa e, soprattutto, dare un significato misericordioso e d’amore al senso della festa ed ai momenti di festa che viviamo. Tanto per capire l’importanza della festa come segno di misericordia, ricordiamo che Gesù stesso vive questo segno, e lo trasforma nel segno della salvezza e della vita eterna già all’inizio della sua predicazione (Le nozze di Cana – Gv 2,1,11), fino ad istituire il segno di misericordia più grande che la Chiesa possiede, l’Eucaristia, proprio durante la festa più importante del popolo ebraico (la pasqua), durante il gesto tipico della festa: la cena Pasquale.
Le feste, nel Nuovo Testamento, assumono così un doppio significato tutto particolare: uno legato a corda doppia ad un gioire che diviene verità nell’amore al Signore, quindi segni di quella festa che sarà la vita eterna con Lui; l’altro a una menzogna che non porta da nessuna parte, legato alla morte e alla distruzione (Mt 14,6-12). Comunque, se Giovanni Battista perde la testa per una promessa, durante la festa di compleanno di Erode – festa che diviene segno di morte non per Giovanni ma per Erode e i suoi commensali -, il fratello maggiore, nella parabola del figliol prodigo, non è da meno, rifiutandosi di fare festa con il Padre per l’avvenuta salvezza del fratello ( Lc 15,11-32).
Si può quindi rimanere legati ad una festa che non è segno di misericordia, oppure ad una festa segno reale di misericordia, dipende sempre cosa cerchiamo e cosa ci aspettiamo dal segno della festa e, sopratutto, come la viviamo. L’umanità cosciente del dono che Dio fa della salvezza, della sua misericordia, vorrà vivere ogni festa come dono per amare come Dio ama, vorrà dare a ogni festa il sapore di quella festa che non finirà mai nella vita eterna, nella risurrezione, desidererà bere in eterno quel vino abbondante (elemento distintivo delle feste e dei banchetti) e copioso che solo Cristo può produrre in quantità infinita (Nozze di Cana).
Capiamo allora come una semplice cena fra amici possa diventare l’occasione per fare festa, gioire insieme, guardarsi negli occhi e desiderare a vicenda di non perdersi mai più. Possiamo capire come una cena in famiglia, un compleanno, un matrimonio, una laurea possono non solo diventare occasione per fare semplicemente festa ma anche essere il segno di quell’amore che, fortemente, vogliamo non si spenga mai fra le persone più care e che desideriamo compagne per questa vita e anche nella vita eterna. Se possiamo pensare così di tutte le nostre feste con i nostri cari, possiamo capire meglio come la festa possa completarsi pienamente in senso cristiano celebrando la salvezza, la vita eterna che Dio Padre ha voluto per noi in Gesù. Non capiamo perché dobbiamo andare a Messa la Domenica? Perché la Messa domenicale è un precetto di festa? Non diamo la colpa alla povertà umana, ma facciamoci una domanda sul senso che diamo alla nostra festa, sull’importanza che diamo al segno della festa come segno di vita eterna e, non ultimo, se celebrare con coloro che amiamo prende questo colore, questa speranza. Insomma domandiamoci se la misericordia divina riempie i nostri cuori, e in forza di questa abbondanza abbiamo voglia di fare festa.
Il non “sentire” di molti la festa “cristiana” e le sue celebrazioni è anche il non sentire, vivere, la misericordia gioiosa di Dio Padre. Certo, molte colpe della mancanza di questo senso gioioso e misericordioso possiamo anche attribuirle a una certa “muffa” liturgica, alla tristezza che molti pastori o comunità hanno nel cuore, una salvezza che fa fatica a rivelarsi come gioia, ma vivere le feste cristiane e le celebrazioni di festa liturgica come dovessero essere sempre uno spettacolo appagante o relative ad un sentimentalismo emozionale non va neanche bene: siamo Chiesa per aiutarci, consigliarci e correggerci, tutti in cammino, nessuno escluso, coltiviamo la misericordia fra noi e forse qualcosa di bello e nuovo ne nascerà!
Quale immensa misericordia divina ha potuto riversarsi nel cuore degli Apostoli durante l’ultima cena? Con quale e grande amore Gesù ha desiderato, guardando i suoi negli occhi, che essi fossero con lui per la vita eterna? Certo, i discepoli e gli apostoli capiranno dopo la risurrezione il fiume di misericordia riversato nei loro cuori, specialmente in quell’Ultima Cena, e la forza di quello che essi capirono e gioirono è testimoniata dallo stesso amore con cui, oggi, noi Chiesa del terzo millennio, celebriamo ancora quell’Ultima Cena e dall’Eucaristia (ringraziamento) che ne sgorga ci lasciamo, oggi, sempre meravigliare e ci auguriamo sempre ci meraviglierà.
Rimanere solo sulla festa è quindi scambiare il fine con il mezzo. Pensate se Gesù si fosse fermato alla cena di Pasqua e, dopo aver fatto baldoria, si fosse nascosto a dormire. Pensate se Gesù avesse cercato e scelto i suoi solo nell’ottica del “divertimento” o della “complicità”. Pensate se lo stare insieme dei membri della Chiesa fosse ridotto solo alla logica del “ben fatto” o “è appagante” senza la Misericordia: quante persone sarebbero fatte fuori, quali criteri useremmo per discernere la nostra appartenenza ecclesiale?
Pensando a coloro che celebrarono con Gesù quell’Ultima Cena una cosa sola riempie di gioia e speranza il mio cuore: l’amore con cui guardò quel gruppo di rozzi e duri di testa che, di lì a poco, lo avrebbero anche rinnegato e si sarebbero dispersi, quell’Amore che non si fermò alle apparenze ma aveva nel cuore la domenica successiva, la risurrezione, la vera festa. Quell’Amore fu così totale che non solo animò il sacrificio di Gesù ma portò tutti nell’Amore che non tradisce, non rinnega ne dimentica. Pensando questo l’unica festa che desidero vivere – perché la vivrò per sempre! – è proprio quella che si svolge sotto lo stesso sguardo, la stessa speranza, la stessa misericordia, e questo posso viverlo ogni volta che celebro quel sacrificio, quella festa, quell’Amore.
10 febbraio 2016