Fisichella sul Giubileo: sia un «evento di popolo»

Intervista all’arcivescovo Rino Fisichella a poche ore dall’apertura a San Pietro: «Rinnovare la propria vita e farla divenire strumento di Misericordia»

Intervista all’arcivescovo Rino Fisichella a poche ore dall’apertura a San Pietro: «Rinnovare la propria vita e farla divenire strumento di Misericordia»

«Il Signore mai si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono». Per l’arcivescovo Rino Fisichella teologo, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, non c’è stata alcuna sorpresa quando il 29 agosto del 2014, per la prima volta, papa Francesco gli parlò del tema del Giubileo che aveva intenzione di indire. Subito gli vennero in mente le parole di Francesco pronunciate nella sua prima omelia da Papa, nella parrocchia di Sant’Anna, in Vaticano: «Il Signore mai si stanca di perdonare». «La misericordia – dice Fisichella, a cui Francesco ha affidato la cura del Giubileo – deve incarnarsi nella quotidianità di questo Anno santo, diventando volto da contemplare e persona da incontrare».

Eccellenza, che significato ha, per la Chiesa, per il mondo, il fatto che un pontefice “venuto da lontano” abbia aperto la prima Porta santa fuori da Roma, in Africa, in un Giubileo straordinario?
Il Papa desidera che questo Anno santo sia vissuto innanzitutto nel mondo in modo tale da far comprendere a tutte le Chiese locali l’importanza di rimettere al centro il tema della misericordia. Ecco perché, nella Repubblica Centrafricana, ha voluto essere lui, durante la sua visita apostolica, ad aprire quella porta che ha fatto di Bangui la “capitale spirituale del mondo”, la capitale mondiale di chi si fa promotore di pace. Quella porta immette non soltanto la Chiesa di Bangui ma tutta la Chiesa cattolica a un impegno di costruzione di pace. E come si può realizzare in maniera evidente la pace, se non attraverso l’azione della misericordia?

In questo apparente mutamento, rispetto alla tradizione, degli spazi fisici e temporali del Giubileo, la Chiesa sollecita, quindi, il mondo a cambiare prospettiva e a riflettere sulla centralità della misericordia. Perché?
Per paradossale che possa sembrare, il tema della misericordia ha anche una profonda valenza culturale. Come sottolinea il Papa nella bolla d’indizione del Giubileo, la Misericordiae vultus, tra le varie iniziative di questo Anno santo bisognerà riportare in primo piano le opere di misericordia corporale e spirituale. Queste opere fanno riferimento a dei comportamenti che hanno cambiato il volto della storia, e nel corso dei secoli hanno permesso all’umanità di avviarsi verso un autentico e genuino progresso. Dar da mangiare a chi ha fame, da bere a chi ha sete, accogliere chi è senza patria, vestire chi è nudo, visitare chi è debole, malato, in carcere, sollecitare le persone a uscire dal dubbio donando la certezza della Verità, ammonire i peccatori, sopportare chi può dare fastidio; credo che questo Giubileo sarà capace di restituire l’entusiasmo per piccoli gesti che sono però fortemente significativi nella vita delle persone e soprattutto degli ultimi di questo mondo.

Tra questi ultimi, più volte citati da Francesco, ci sono anche i carcerati e i poveri.
Sì. Nella lettera che mi ha indirizzato con le indicazioni complete su come vivere il Giubileo, il Papa parlava anche dei carcerati. Essi potranno ritrovare un senso di genuina espressione della misericordia non solo nelle cappelle degli istituti di detenzione, ma anche ogni qual volta varcheranno la porta della loro cella. Pentiti del male che hanno fatto e desiderosi di compiere del bene, trasformeranno la porta della cella in una porta santa della misericordia. E poi c’è la prima opera di carità del Giubileo che il Papa ha voluto compiere proprio nella sua diocesi, aprendo la porta dell’ostello Caritas di via Marsala. Un gesto importante in quella che continuerà ad essere la casa in cui tutti vengono accolti; dove chi ha fame può ricevere cibo, chi ha sete può essere sostenuto, chi è senza dimora può essere ospitato. Un gesto che parte da Roma e che si rivolge a tutte le altre metropoli del mondo chiamate a dare dei segni concreti di accoglienza.

Porte aperte, quindi, come anche Francesco ha sottolineato: «niente porte blindate». Un monito che sembra scontrarsi con l’esigenza di sicurezza di questi giorni.
Sono due dimensioni complementari. Il Papa più volte ci ha ricordato che dobiamo aprire la porta del cuore per fare uscire Cristo e portarlo agli altri. E nella misura in cui noi portiamo Cristo agli altri, allora si apre anche la dimensione del rispetto, dell’accoglienza delle differenze; si apre la dimesione del dialogo. Quindi anche se diverse porte, per esigenze di sicurezza, si stanno chiudendo, con molta probabilità, nella pazienza del dialogo, nella fatica del confronto, un giorno potranno riaprirsi di nuovo. D’altra parte, l’elemento fondamentale di qualsiasi dialogo interreligioso è la capacità di conoscersi e di sapere che, pur nelle differenze, è possibile la collaborazione.

Aspettando di spalancare tutte queste porte, una sua ultima indicazione. Che Giubileo non deve essere e che Giubileo, invece si augura, sarà?
Non deve essere un Giubileo che distrae dall’essenziale, deve essere un evento spirituale, un evento di Chiesa, di popolo, attraverso il quale comprendere come rinnovare la propria vita e farla divenire strumento di misericordia. Una bella espressione che il Papa usa spesso rivolgendosi ad associazioni, movimenti, parrocchie è: «Dove c’è un cristiano là si deve trovare un’oasi di misericordia». Penso che questa sarà veramente la grande sfida che ci attende.

 

7 dicembre 2015