Iraq, l’offensiva del governo su Mosul

In prima linea anche i soldati italiani, impegnati nel soccorso ai feriti della coalizione. L’appello per la popolazione civile e i prigionieri yazidi

In prima linea anche i soldati italiani, impegnati nel soccorso ai feriti della coalizione. L’appello per la popolazione civile e i prigionieri yazidi
Iniziate ieri, 17 ottobre, in Iraq, nelle primissime ore del mattino, le operazioni militari per liberare Mosul, la seconda città del Paese, in mano ai jihadisti dell’Isis dal 9 giugno 2014. «Se Dio vuole, vinceremo»: queste le parole del primo ministro iracheno Haider al-Abadi, che nelle prime ore del mattino aveva rivolto un breve discorso al Paese attraverso la tv di Stato, in uniforme militare, affiancato da alti raprpesentanti dell’esercito. Il presidente iracheno, in una dichiarazione diffusa online, ha assicurato che tutto il territorio nazionale ancora in mano al Daesh sarà liberano entro la fine dell’anno.

Ancora un milione gli abitanti che si trovano a Mosul. A loro è dedicata una delle priorità delle prime fasi dell’intervento militare: la creazione di corridoi umanitari per permettere ai civili di lasciare la città prima che l’assalto raggiunga l’area urbana. Nei giorni scorsi la deputata dell’Alleanza cura Vian Dakhil, unica rappresentante di etnia yazitdi nel Parlamento iracheno, aveva lanciato un appello alle forze militari impegnate nell’operazione per chiedere che durante l’assalto si faccia di tutto per salvare almeno la vita delle centinaia di donne, uomini, ragazze e ragazzi yazidi presi in ostaggio dai jihadisti. Anche Stephen O’Brien, responsabile delle operazioni umanitarie dell’Onu,ha messo in guardia dal rischio che «decine di migliaia di bambine irachene, di bambini, di uomini e di donne potrebbero subire un assedio o essere utilizzati come scudi umani».

Confermato l’appoggio della coalizione militare a guida Usa, da tempo impegnata nei raid aerei contro le postazioni dello Stato islamico. E in prima linea ci sono anche i soldati italiani, con regole di ingaggio chiare: si può rispondere soltanto se attaccati. Ma l’impiego degli italiani a Erbil, a 80 chilometri dal teatro di guerra, prevede il soccorso ai feriti della coalizione con quattro elicotteri militari da trasporto Nh-90 dell’Esercito scortati dagli elicotteri da attacco A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti. È il Personnel Recovery, missione affidata a 130 incursori del 17° stormo dell’Aeronautica, le forze speciali da combattimento. Questo rende strategico il ruolo del contingente italiano, alzando però il livello della minaccia contro la Brigata Aosta impegnata nel presidio della diga di Mosul e soprattutto di tutte le sedi della ditta Trevi alla quale è affidata la messa in sicurezza dell’impianto.

Sul campo però le forze presenti intenzionate a rivendicare un ruolo nella sconfitta del Califfato sono diverse, con interessi e disegni stategici sul lungo periodo in contrasto tra loro. Come le milizie curde Peshmerga, che nelle ultime ore hanno intensificato l’offensiva sui villaggi della Piana di Ninive in mano ai jihadisti, «anche con l’intento di guadagnare posizioni di forza sul terreno», chiarisce l’Agenzia Fides. Nel contempo, i portavoce del governo del Kurdistan iracheno hanno confermato l’esistenza di un accordo in base al quale solo le truppe dell’esercito federale iracheno potranno entrare a Mosul, per non fomentare ulteriore tensioni etnico-religiose nella città a forte maggioranza sunnita. Il premier iracheno Haider al Abadi ha lui stesso precisato che solo le truppe regolari potranno entrare nell’area urbana di Mosul nelle fasi più avanzate dell’operazione militare. Intanto la Turchia  ha riaffermato la sua presenza diretta sul campo, rivendicando di aver inviato nella località di Bashiqa, 12 chilometri a nordest di Mosul, 150 soldati che hanno addestrato in quella zona circa 3mila miliziani sunniti.

18 ottobre 2016