Misericordia e Sacramenti
Prendere sul serio e con impegno la propria vita sacramentale è vivere fino in fondo l’alleanza con Dio Padre. Riconoscersi come figli
Prendere sul serio e con impegno la propria vita sacramentale è vivere fino in fondo l’alleanza con Dio Padre. Riconoscersi come figli
Quando Dio agisce in favore degli uomini fa qualcosa per la nostra salvezza e quella del mondo intero. Se vi è interazione con gli uomini che accettano questa sua azione e vi aderiscono, possiamo tranquillamente dire che questo è un sacramento. Certo è che Dio sarà sempre fedele alla sua volontà di salvezza, non ritratterà mai la sua offerta; meno certa è l’adesione degli uomini, la loro volontà nell’aderire ed accettare il sacramento, la Sua iniziativa di salvezza.
Anche qui dobbiamo chiarire il termine “sacramento” per poter proseguire: esso deriva dal giuramento col quale si rendeva sacra una promessa (dal latino sacramentum), principalmente era usato nell’antica Roma per il giuramento delle reclute che così diventavano veri e propri soldati romani, ma anche in campo giuridico e nelle controversie dove si usava per mettere le proprie asserzioni sotto la verità – o il castigo – della divinità. Il sacramento definiva una cosa consacrata in senso divino ma la fatica, l’onere dell’efficacia, era spostato più sulla persona che sulla divinità, più sul “legalismo” che sulla sostanza di ciò che era posto in essere, fatto questo che noi cristiani abbiamo, forse, un po’ troppo trasportato anche nella visione e considerazione del sacramento in sé, sottolineando poco l’amore con cui Dio Padre compie le sue azioni di salvezza per noi, e troppo quello che noi facciamo per Dio.
Come Chiesa abbiamo ricevuto e riconosciuto formalmente sette di queste iniziative di Dio (Eucaristia, Battesimo, Confermazione, Riconciliazione, Ordine, Matrimonio, Unzione degli infermi), ma non dobbiamo dimenticare che l’amore onnipotente di Dio Padre può offrirci la sua salvezza in modi che non possiamo neanche immaginare, proprio perché la salvezza è sua, è da lui, e l’amore misericordioso con cui ci ama non smette di volere il nostro bene in maniera infinita, anche quando è impossibile vivere i sette. Il punto su cui dobbiamo stare molto attenti è non scadere – come spesso facciamo l’errore – nel “fuori dei sette sei spacciato!” oppure nel “tanto Dio ti salva lo stesso!”, posizioni queste che lasciano fuori, in tutti e due i casi, la reale misericordia di Dio ma anche il nostro impegno a vivere nella e per la salvezza che ci viene offerta. Ricordiamoci sempre che colui che vive e annuncia la misericordia divina è sempre il modello dell’uomo giusto, cioè colui che ha vissuto e riconosciuto l’amore di Dio e lo annuncia in parole ed opere e, in questo caso, l’umanità giusta è quella che riconosce l’azione di Dio nella sua vita, l’amore che in quest’azione di salvezza gli è stato donato, e lo testimonia ed annuncia con la sua stessa vita.
Prendere sul serio e con impegno la propria vita sacramentale è vivere fino in fondo l’alleanza con Dio Padre, riconoscersi come figli, annunciare con la propria vita quel Vangelo di salvezza che è dono di misericordia per tutti, a cominciare da me: il mio battesimo diventa così dono di salvezza che io riconosco e che Dio dona, attraverso me, a tutti (Mt 28,19-20); confermare il mio battesimo è riconoscere quell’amore che mi ha fatto figlio e, accogliendolo ancora, testimoniarlo (Lc 24,46-50) con impegno e per amore verso tutti quelli che il Signore mi mette davanti; la mia eucaristia è comunione profonda con il suo amore che salva, sacrificandosi per me, e con tutti i fratelli che vivono questo (Gv 6,35-59); Il mio matrimonio è sacramento perché lo riconosco come dono, con il quale sono accolto con amore e con amore accolgo chi mi viene incontro come dono (Gn 2,18-24 ; Mt 19,3-12; Ef 5,21-33; Mc 9,36-37). Ancora, la mia ordinazione sacerdotale è tenerezza infinita con la quale il Signore mi cura e mi serve, e con la quale io voglio curare e servire con quanto più amore posso (Mc 9,35 ; Lc 22,24-27); dall’amore con cui Dio mi riconcilia se, nonostante tutte le mie bassezze ed insufficienze, ogni volta che ne ho bisogno, nasce la mia voglia di perdonare, di annunciare quella misericordia che non allontana ma cerca sempre la strada dell’incontro (Gv 20,19-23 ; Lc 23,39-43 ; Lc17,1-4 ; Gv 8,1-11); la sofferenza e la morte sono dimensioni che, inevitabilmente, mi verranno incontro ma, con esse, mi verrà incontro anche l’amore, il mio Signore, al quale sono unito, nell’amore, dal mio battesimo, quest’amore renderà sacra la mia ed altrui sofferenza. Sacra perché la morte non vincerà, la sofferenza si arrenderà alla vita, quella eterna, la luce della risurrezione splenderà per il suo Re, il mio Signore Gesù ed io – unito a lui nell’unzione degli infermi che mi elegge e mi dà forza – vincerò e vivrò, e voglio che quest’amore vinca per tutti, che quest’amore scenda su tutti i miei fratelli che desidero ungere con lo stesso olio di misericordia (Lc 10,30-35 ; Gc 5,14-15).
Qual’è oggi la più grande malattia della misericordia, il peccato contro lo Spirito Santo che salva e dà la vita? Sicuramente quello di non credere nella salvezza che Dio ci offre! Questo non credere può realizzarsi, essenzialmente, in due modi: credere di essere spacciati, mettere un limite a Dio oltre il quale egli non può agire, oppure creare alternative che prevedano una “contrattazione” sulla salvezza offerta e la volontà umana che vuole comunque seguire le sue strade e non quelle di Dio. Nel primo caso (credersi spacciati e senza speranza!) ovviamente la provvidenza divina e la cura amorevole della Chiesa possono fare qualsiasi miracolo, con tanta pazienza e misericordia è una cura possibile, anzi possiamo tranquillamente dire che è il cuore della missione ecclesiale! Nel secondo caso (… dico io come è l’amore di Dio!), la cosa risulta un poco più difficile, l’azione ecclesiale è fortemente limitata da un rifiuto di essa e di tutto ciò che la Chiesa amministra, a cominciare dai sacramenti. L’inganno del “tanto Dio ti salva lo stesso” arriva a giustificare qualsiasi bruttura e peccato e a mettere in bocca a Dio qualsiasi cosa e, con la Chiesa “fuori gioco”, diventa impossibile capire dove è la verità, perché, ci piaccia o no, nella Chiesa veniamo chiamati e attraverso la Chiesa veniamo invitati a vivere la salvezza, nonostante la pochezza è l’indegnità, delle volte anche gravi, di alcuni suoi figli, ma con una continua offerta in santità e misericordia di tanti altri suoi figli che la sostengono e la rendono viva e presente ovunque il Signore la mandi!
Comunque, nonostante tutto, l’unica chiave per non cadere nell’errore è sempre quella di credere profondamente che tutto quello che Dio Padre fa, ha fatto e farà per noi ha per motore il suo cuore, la sua misericordia e, dove non riusciamo a vedere con i nostri piccoli occhi, abbandonarsi nelle sue braccia sereni e tranquilli come bimbi svezzati in braccio ad una madre (Sal 130). La Chiesa continuerà la sua missione offrendo una strada sicura di salvezza, i sette sacramenti, strada sulla quale chi cammina potrà stare tranquillo attraversando ogni valle oscura (Sal 22), urlando ai 4 venti ed in ogni deserto l’amore che vuole salvare, accogliendo e tenendo vicino tutti quelli che vorranno, tutti quelli che, anche se non possono camminare sulla strada dei sette, godranno la vicinanza di una comunità (la Chiesa) che nei sette offre preghiere suppliche e misericordia anche per loro, sicuri che il Padre salverà anche quei figli con azioni di misericordia che neanche possiamo immaginare, accogliendo e mai rifiutando sempre l’umanità che è capace di dire ” …Signore tu lo sai che ti amo” (Gv 21,15-19); umanità che può dire questo perché ha capito che è sempre amata e accolta dal suo Signore, la cui icona, scelta dal Signore stesso, non è quella di un giudice impietoso, un freddo e spietato legislatore ma quella di un pastore che va sempre in cerca della pecorella perduta e, trovatala, fa festa e gioisce come se fosse l’unica che aveva!
8 marzo 2016