Verso il referendum/2. Stefano Semplici: «Riforma dal risultato deludente»

Per l’ordinario di Etica sociale all’Università di Roma Tor Vergata «un bicameralismo “differenziato” in modo così confuso non è accettabile»

Per il professore ordinario di Etica sociale all’Università di Roma Tor Vergata «un bicameralismo “differenziato” in modo così confuso non è accettabile»

Le ragioni del “no” al referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale, illustrate da Stefano Semplici, docente ordinario di Etica sociale all’Università di Roma Tor Vergata.

Quale è lo stato di salute della nostra Costituzione? Porta ancora bene gli anni che ha o le occorre un restyling?
Una Costituzione disegna la cornice dei principi e valori nei quali si riconosce una comunità politica e definisce le istituzioni che la governano, il loro funzionamento, il rapporto fra i poteri, le forme di partecipazione dei cittadini alla vita della res publica. Una Costituzione, dunque, nasce per “durare”. La nostra ha quasi settanta anni, ma apprezzarla e rispettarla non significa considerarla immutabile. Una buona Costituzione è tale anche perché include i meccanismi che consentono di adattarla al dinamismo della storia, conservando il senso e la passione di un percorso condiviso. Nessuna paura, dunque, per il cambiamento.

Obiettivo della Riforma è il superamento del bicameralismo perfetto: occorre davvero? Cosa accadrà all’iter legislativo? Le nostre leggi saranno meno equilibrate?
Alcuni critici hanno definito la riforma un passaggio dal bicameralismo perfetto a un bicameralismo pasticciato, alludendo in particolare al groviglio di norme che regolerebbero i diversi procedimenti legislativi. Quel che è certo è che la semplicità e la trasparenza promesse rimangono lontane. Basta leggere il testo – anziché limitarsi ad ascoltare gli slogan – per rendersene conto. E sono gli stessi fautori della riforma a definirla “imperfetta”…

Il Senato “ridotto” farà risparmiare lo Stato e dovrebbe fungere da raccordo tra Stato, Regioni e Comuni. Potrà proporre leggi ed emendamenti ma la Camera non avrà l’obbligo di prendere in considerazioni i suoi rilievi. Di fatto sarà un organo “svuotato” per alcuni aspetti ma per alcuni tipi di legge dovrà votare paritariamente insieme alla Camera. Funzionerà davvero meglio? Con quali vantaggi?
Mi rifiuto di considerare un risparmio che vale al massimo qualche euro per ogni cittadino italiano un argomento decisivo per una riforma di questa portata. Per il resto, non sappiamo neppure bene come saranno scelti 95 dei cento senatori che comporrebbero l’organo. I Consigli regionali dovranno eleggerli con metodo proporzionale in conformità a scelte espresse dagli elettori. Cosa vuol dire? Non sappiamo come questo “secondo lavoro” sarà reso compatibile con quello dei consiglieri regionali e dei sindaci che diventeranno senatori. Sappiamo, in compenso, che questo “nuovo” Senato avrà lo stesso potere della Camera quando si dovesse trattare di approvare altre leggi costituzionali. A ciò si aggiungono funzioni tanto altisonanti quanto imprecisate, come la partecipazione alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione Europea. Si promette che oscurità e ambiguità, anche sul ruolo di raccordo con le Regioni, si chiariranno cammin facendo. Ma si può accettare questo argomento quando si parla della Costituzione?

A proposito del Titolo V: molte materie passerebbero alla competenza esclusiva dello Stato ma su alcune la definizione dei ruoli non è nettissima. Penso alla sanità: le Regioni hanno in capo l’organizzazione dei servizi, uno dei punti dove maggiormente è tangibile, ad esempio, la diseguaglianza tra nord e sud nell’accesso ai servizi. Come valutiamo la Riforma dal punto di vista dell’autonomia delle Regioni?
Ha toccato un punto decisivo. È del tutto evidente che in troppi casi vale il principio per il quale “regione che vai, diritti che trovi”. Basterà l’affermazione che allo Stato spetta definire non più i «principi fondamentali» ma le «disposizioni generali e comuni»? Io penso di no. Il conflitto che si fa uscire dalla porta potrebbe rientrare dalla finestra. E si sarebbe perso altro tempo, mentre le disuguaglianze crescono. Per non parlare della rinuncia ad affrontare la questione delle Regioni a statuto speciale.

Qualcuno, a proposito dello scenario prospettato da questa Riforma, parla di “strapotere” del governo. Potrebbe essere così?
La riforma nasce con l’esplicito obiettivo di rafforzare i meccanismi di una “democrazia decidente”. Occorre però non dimenticare che essa è stata concepita e realizzata insieme all’Italicum e molti degli effetti promessi dipendono dalla legge elettorale. Si immagini, dopo l’eventuale approvazione della riforma, una Camera dei deputati eletta con un sistema proporzionale puro. Cosa resterebbe di questa svolta epocale che dovrebbe portarci una volta per tutte fuori dal “pantano”?

Soppressione del Cnel: cosa ne pensa?
Non c’è quasi nessuno che lo difenda e non cercherò di farlo io. Rimane però il problema del modo più efficace per dare voce alle diverse espressioni della società civile.

Riassumendo: perché un elettore dovrebbe votare no?
Non basta dichiarare un obiettivo largamente condiviso come il superamento del bicameralismo perfetto per meritare il consenso a un intervento di questa portata. Il come si fa una cosa è importante e, superata una certa soglia, le ombre sovrastano le luci, rendendo impossibile il sì. Almeno per me questa soglia è stata superata. Un bicameralismo “differenziato” in modo così confuso non è accettabile. Il nodo del rapporto fra Stato e Regioni non è risolto. La riforma che ci propongono governo e parlamento è nata con le migliori intenzioni, ma il risultato, guardando al lungo periodo che è l’orizzonte naturale di una Costituzione, è deludente. Prenderne atto e votare di conseguenza non è “benaltrismo” ma un dovere di coerenza.

14 ottobre 2016