Andreotti e La Pira: dalla deterrenza al disarmo

Il carteggio completo tra i due protagonisti di una stagione politica lunga 40 anni, nel libro curato da Augusto D’Angelo: “Bisogna smettere di armare il mondo”

A rendere originale l’opera curata da Augusto D’Angelo, docente di storia contemporanea alla Sapienza, “Bisogna smettere di armare il mondo”, ossia il carteggio completo tra Giulio Andreotti e Giorgio La Pira, sono le «due personalità» dei protagonisti, «vicine perché entrambi molto credenti e democristiani», ma anche «profondamente diverse» nel vivere «la religiosità e il cattolicesimo». A sottolinearlo è stato ieri sera, 26 febbraio, Andrea Riccardi, storico e presidente della Società Dante Alighieri che ha promosso l’evento di presentazione dell’opera edita da Leonardo libri nella sede di piazza Firenze, a due passi dal Parlamento.

Citando uno degli scritti di La Pira ad Andreotti – «Ci vuole meno machiavellismo e più poesia» – Riccardi ha sintetizzato tale differenza tra i due: il mittente «era l’uomo dell’utopia, della pace e del disarmo, delle visioni ecumeniche ante litteram», il destinatario, invece, era «freddo, infastidito dagli slanci utopici» così lontani «dal realismo andreottiano», ha osservato. Tuttavia per Riccardi «scorrendo queste lettere si ha chiara la sensazione che Andreotti pur non essendo d’accordo con La Pira lo sentiva superiore a sé, almeno per quanto riguarda la dimensione di fede», così radicata «nella Bibbia» per cui il sindaco di Firenze, «seguendo la lezione dei profeti biblici, leggeva l’azione di Dio nella storia anche attraverso gli eventi della cronaca».

E da eventi significativi è composta «la stagione, lunga un quarantennio, che questo rapporto epistolare abbraccia», ha sottolineato Patrizia Giunti, presidente della fondazione La Pira; se il carteggio interessa infatti gli anni dal 1950 al 1977, il primo incontro tra Andreotti e La Pira «risale al 1937, quando in occasione del Congresso nazionale della Fuci i due si incrociano – ha ricostruito l’esperta -: il primo appena 18enne, prossimo ad avviarsi al mondo universitario, il secondo già docente di diritto romano e voce autorevole del mondo cattolico». Si tratta di un tempo in cui «il mondo cambia – sono ancora le parole di Giunti -: dalla deriva più esasperata del regime fascista delle leggi razziali al dramma della guerra, dal percorso di risalita dell’Italia che aveva perso credibilità all’età dei diritti ma anche allo scenario inquietante della guerra fredda, della corsa al riarmo per la guerra in Corea, dello scontro atomico sfiorato nella crisi di Cuba, dei conflitti arabo-israeliani e della guerra del Vietnam».

È in questo evolvere della storia che si «dipana il dialogo tra due personaggi che di questi eventi sono non semplici spettatori ma protagonisti», ha continuato Giunti; evidenziando poi un momento fondamentale «di conversione di La Pira che nell’Epifania del 1951 matura il desiderio di farsi operatore di pace», ha messo in luce che «qui si sviluppa il germe che lo porterà nel 1959 a Mosca per sostenere che la conversione della Russia è il passaggio per sciogliere il dramma di un mondo diviso a pezzi», insistendo sulla necessità per l’Unione Sovietica di liberarsi dall’ateismo di Stato. È sempre in nome della pace che La Pira, dal 1951 sindaco del capoluogo toscano, ricerca in Andreotti, in quegli anni sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, «non solo un sostegno economico ma l’appoggio del cattolico e da qui, dal ’52 in avanti, nasceranno i convegni per la pace e la civiltà cristiana, i Colloqui mediterranei, i grandi dossier della politica internazionale», ha ripercorso Giunti.

Entrambi, allora, «sono stati coinvolti in scenari di una pace da inseguire – ha detto l’esperta concludendo -, in un contesto che vede il conflitto atomico come il crinale apocalittico della storia, secondo la profezia di Isaia propugnata da La Pira, laddove la guerra è un’utopia perché interpretata come strumento di risoluzione dei conflitti». Entrambi cioè condividono la stessa prospettiva e un obiettivo comune «ma con modalità diverse – ha spiegato Giunti -: La Pira guarda al disarmo mentre la logica andreottiana alla deterrenza».

Il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del dicastero delle Cause dei santi, ha trattato dell’operatore di pace e servo di Dio La Pira – nel 2018 proclamato venerabile da Papa Francesco – a partire dal discorso da lui tenuto a Lecce – provincia d’origine del presule – nel 1956, in occasione del Congresso eucaristico nazionale, i cui principi, specie quelli relativi all’aiuto da dare, «contro ogni indifferenza, ai fratelli poveri di questo corpo mistico che è la Chiesa», ritornano nelle lettere. Per La Pira, «nella sua visione storica e profetica, i santi proteggono le città e gli angeli le accompagnano nella loro vocazione universale ad annunciare al mondo la pace – ha detto Semeraro citando una delle missive del carteggio -. Allo stesso modo nei discorsi sul Mediterraneo, l’Europa è vista da La Pira come il centro della vocazione umana di annuncio di pace, concetto comune, oggi, a Papa Francesco».

In conclusione, il saluto del curatore, che ha invitato a recuperare gli ingredienti necessari per «fare la pace tra i nemici: pazienza, ascolto, studio, fatica, costruzione e creatività», riprendendo le parole del cardinale Matteo Zuppi che ha redatto l’introduzione al volume.

27 febbraio 2024