Don Andrea Santoro e la scelta di farsi “toccare” dalla Croce

A Santa Croce in Gerusalemme la Messa presieduta dal vescovo Daniele Libanori nel 12° anniversario della morte del sacerdote fidei donum, ucciso a Trabzon nel 2006. Nelle sue mani, la Bibbia in turco

Lasciarsi toccare dal Signore per ottenere la salvezza. Questo il centro della meditazione che padre Daniele Libanori, nuovo vescovo ausiliare della diocesi di Roma, ha proposto ieri sera, 5 febbraio, nella solenne concelebrazione eucaristica per il 12° anniversario della morte di don Andrea Santoro, nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme. «Come la folla accorreva presso Gesù per toccare almeno il suo mantello – ha esordito il presule – , così voi siete qui non solo per una memoria mesta ma per attingere, perché intuite che in don Andrea scorre la vita». Chi sa riconoscere davvero la limitatezza della condizione umana, «quella che Cristo ha vissuto sulla croce», non coltiva più solo il desiderio di toccare il Signore «ma vuole farsi toccare dal dolore che Lui ha patito perché è fonte di redenzione»: è quanto «hanno voluto e saputo fare i santi e i martiri», ha chiosato Libanori riferendosi al sacerdote fidei donum ucciso nel 2006 a Trabzon, in Turchia, mentre pregava con la bibbia in lingua turca tra le mani, trapassata da uno dei proiettili che lo hanno colpito ai polmoni.

«Toccare è il gesto più istintivo, quello che permette di esprimere emozioni sia positive che negative, quello che stabilisce una relazione – ha spiegato ancora il presule – : Dio tocca ciascuno di noi nella nostra storia e guarisce chi sa riconoscerlo». Dalla creazione, quando «al faticoso protendere la mano di Adamo va incontro il gesto di Dio – ha detto riferendosi all’opera michelangiolesca della Sistina – e fino al dono di Cristo sulla croce nel mistero pasquale». Toccare davvero il Signore, allora, non è arrivare a sfiorare il suo mantello ma «venire da lui riplasmati ogni volta che si vive la Parola e si prova ad attuarla», specie nelle situazioni di dolore e difficoltà che «feriscono e travolgono l’uomo coinvolgendolo nella Passione ma anche nella resurrezione».

Infine Libanori ha illustrato come i sacramenti rendano possibile sperimentare la dimensione tattile della salvezza nel quotidiano, «per cogliere il tocco di Gesù che, solo, salva»: l’acqua del battesimo e l’unzione con il crisma, che ritorna nella cresima, l’eucaristia che è nutrirsi del corpo di Cristo; le mani sul capo da parte del confessore e l’imposizione delle mani del ministro per l’ordinazione e l’estrema unzione, fino alle mani strette degli sposi nella consacrazione del matrimonio. Ancora, la preghiera con il riconoscimento delle fragilità e dei limiti umani unitamente all’invocazione quale mezzo per «arrivare a toccare almeno il mantello del Signore».

Due delle preghiere composte da don Andrea Santoro e contenute nel suo libro “Un fiore dal deserto” sono state recitate durante la Messa: una nel momento della richiesta di perdono, l’altra alla fine, in segno di affetto e riconoscenza per la sua testimonianza. «È questo grande affetto delle persone che addolcisce il nostro dolore – ha detto Imelda, sorella maggiore del sacerdote a margine della celebrazione -. È come un campo che è fiorito: ha lasciato un segno anche in chi lo ha conosciuto per poco tempo». A dire che il ricordo non svanisce e continua a portare frutti, oggi come ieri: «Io sono stato convertito da don Andrea sulla via di Tiburtina – ha ricordato con il sorriso Luigi Barbini, diacono permanente -: ero con lui nel 1981 quando arrivò a Verderocca e costruì la chiesa ma, soprattutto, creò una comunità».

6 febbraio 2018