Don Cristofaro, la malattia e la «medicina della tenerezza»

Il sacerdote, nato con una presi spastica alle gambe, protagonista del secondo incontro di "Un di più di vicinanza". La rabbia da adolescente, poi l'incontro con la Chiesa: «Ho capito che al Signore servivo con la mia patologia, perché non servono gambe forti ma un cuore colmo di amore»

Convivere con una malattia fin dall’infanzia non è necessariamente un impedimento ma può rivelarsi, «nel riscoprirsi amato e accompagnato da Dio in questo cammino», una ricchezza. Questa la chiave di lettura che don Francesco Cristofaro ha offerto per leggere la sua personale esperienza di vita ieri sera, 3 marzo, portando la propria testimonianza nel secondo incontro del corso di formazione on-line “Un di più di vicinanza”, curato dall’Ufficio per la pastorale sanitaria del Vicariato per il tempo di Quaresima. Nato con una paresi spastica alle gambe, il sacerdote, 41 anni e originario della provincia di Catanzaro, dove opera, ha ammesso di avere «provato rabbia a lungo per la mia condizione, specie da bambino e da adolescente, quantomeno finché mi sono sentito solo e giudicato e ho vissuto nascondendomi dagli altri, non accettandomi».

Osservando come «”inclusione” è una parola molto bella ma deve trasformarsi in un atteggiamento e in un modo di fare concreto con l’altro», Cristofaro ha invitato a educare tutti, fin da bambini, «a fissare negli occhi l’altro, vincendo l’indifferenza», e a offrire «sostegno e reale vicinanza ai genitori dei piccoli malati e alle famiglie di chi soffre, al di là della compassione e del pietismo», guardando in particolare a quella «”medicina della tenerezza” di cui parla Papa Francesco». Nel ripercorrere la sua personale storia di malattia, il sacerdote ha ricordato infatti «i tanti viaggi della speranza dal Sud al Nord Italia fatti con i miei genitori, due cuori semplici per una diagnosi così complessa, per le visite mediche ma anche per incontrare falsi venditori di speranze», perché «si cerca qualunque strada per guarire un figlio malato». Fondamentale, però, è stato l’incontro «con la Chiesa, perché se tutti fino ad allora mi avevano escluso, in quel nuovo ambiente, che prima evitavo, convinto di essere un bambino e un adolescente cattivo dato che la Madonna non ascoltava le mie preghiere di guarigione, mi sono sentito accolto, riconoscendomi uno strumento che nelle giuste mani poteva fare meraviglie». Da quel momento in poi «il Signore mi ha tolto i cattivi e tristi pensieri dal cuore e mi ha donato pace e fiducia – ha detto Cristofaro – . Ho capito che al Signore servivo con la mia patologia, perché non servono gambe forti ma un cuore colmo di amore. Per questo oggi sono un sacerdote felice e sereno, che lotta e si impegna nella sua missione».

Ad aprire l’incontro-testimonianza rivolto a volontari ospedalieri, medici, infermieri e a chi vive da vicino la malattia era stato il vescovo ausiliare Paolo Ricciardi, delegato per la pastorale sanitaria, evidenziando l’importanza di «mettersi in ascolto dell’esperienza con la malattia e del percorso di vita degli altri e di noi stessi», riconoscendo «nella luce della Trasfigurazione un’anticipazione di quella eterna della risurrezione, specialmente quando si vivono momenti di buio, di sofferenza e “di Croce da portare”», come quelli procurati dalla malattia.

4 marzo 2021