Enrichetta Beltrame Quattrocchi è venerabile

Firmato dal Papa il decreto sulle virtù eroiche. Il postulatore padre Noviello: «Non ha fatto nulla di straordinario ma ha reso straordinario tutto ciò che ha fatto»

Enrica Beltrame Quattrocchi, per tutti Enrichetta, è venerabile. Lunedì 30 agosto Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto riguardante le virtù eroiche della serva di Dio, ultima dei quattro figli di Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini, i coniugi beatificati da Papa san Giovanni Paolo II nel 2001. Con lei sono venerabili anche il frate minore Placido Cortese (al secolo Nicolò), morto nel novembre 1944 in seguito alle torture inflitte dai nazifascisti, e Maria Cristina Cella Mocellin, la cui storia riporta alla mente quella della romana Chiara Corbella Petrillo perché proprio come lei rifiutò le cure per portare a termine una gravidanza.

Enrichetta, nata a Roma il 6 aprile 1914, amava definirsi “il mestolino di Dio”. «Era una donna “inzuppata” di Vangelo», ricorda padre Massimiliano Noviello, postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione aperta il 6 aprile 2018 nella cattedrale di Napoli dal cardinale Crescenzio Sepe. «Contentissimo» per la notizia del riconoscimento delle virtù eroiche di Enrichetta – morta nella sua casa di via Depretis, a Roma, il 16 giugno 2012, a 98 anni -, padre Massimiliano prova «un senso di profonda gratitudine e responsabilità al Signore» per avergli concesso di crescere ulteriormente attraverso l’esempio della serva di Dio. Il frate cappuccino conosceva bene la nuova venerabile, la quale oggi «insegna che la via della santità è percorribile da tutti. Bisogna saper orientare al bene le scelte che la vita pone ogni giorno, impegnandosi a vivere le Beatitudini evangeliche. Lei lo ha fatto e per questo è anche definita “la donna delle Beatitudini”». La partecipazione alla Messa quotidiana nella basilica di Santa Prassede – dove le sue spoglie riposano dal 23 giugno scorso -, l’ascolto attento alla Parola di Dio, la recita quotidiana del Rosario, l’hanno aiutata a «riconoscere il Signore in tutti quelli che incontrava, riservando massima attenzione a ognuno. Non ha fatto nulla di straordinario ma ha reso straordinario tutto quello che ha fatto. Era impregnata della Parola di Dio e nel quotidiano cercava di comprendere la sua volontà in tutto quello che faceva, nelle relazioni che intratteneva e nell’attenzione che riservava ai poveri, agli emarginati, alle mamme sole, agli orfani e alle persone affette da disturbi psichici e fisici». In una sola parola, ha dedicato la sua vita agli ultimi, «cercando di sopperire alle necessità fisiche, materiali e spirituali di chi incontrava».

Dal 1936 accompagnò a Lourdes e a Loreto gli ammalati dell’Unitalsi e nel 1938 entrò a far parte delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, prestando servizio nelle zone povere di Trastevere e della Montagnola. Per questo il postulatore la definisce «una martire, perché ha vissuto quotidianamente il martirio accettando la volontà del Padre. Ha vissuto pienamente il Vangelo – aggiunge – percorrendo le periferie esistenziali di ogni persona, salvando anche numerosi ebrei. Per lei non c’era il buono o il cattivo ma tutti sono fratelli e il bene è in ognuno. Basta farlo emergere». A differenza dei fratelli Filippo, Stefania e Cesare che si consacrarono al Signore, la vocazione di Enrichetta fu quella «di restare accanto ai genitori, prima affiancandoli nell’apostolato e poi accompagnandoli nell’anzianità», conclude padre Noviello, che ricorda in modo particolare «la profonda umiltà, trasparenza e schiettezza» della nuova venerabile.

2 settembre 2021