I giovani siriani, “Come fiori tra le macerie”

Presentato il rapporto Caritas sui ragazzi che restano in Siria. Audo: «Ad Aleppo est è emergenza umanitaria». Il ricordo di padre Dall’Oglio

Presentato a Roma il rapporto Caritas sui ragazzi che restano in Siria. Audo: «Ad Aleppo est è emergenza umanitaria». Il ricordo di padre Dall’Oglio

Un campione di 132 giovani operatori, impegnati a loro volta con i giovani come insegnanti, animatori, educatori o catechisti. Complessivamente, un campione rappresentativo di circa 3mila giovani, di diverse religioni e contesti. Sono loro «quel che resta della Siria», su cui fa il punto il rapporto Caritas presentato ieri, 14 marzo, a Roma: un focus con dati e testimonianze, frutto di uno studio realizzato nei primi due mesi dell’anno da Caritas Siria e Caritas italiana in collaborazione con Avsi, Engim, Vis e il Patriarcato armeno. Restano fuori i giovani che si trovano in zone sotto assedio o sotto il controllo dei ribelli, o comunque in zone ad alta densità di conflitto. Una fetta importante di popolazione che, spiegano dalla Caritas, «probabilmente avrebbe manifestato bisogni materiali più gravi».

“Come fiori tra le macerie. Giovani e ragazzi che restano”: questo il titolo del documento, su cui i lavori si sono aperti con un pensiero a padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita scomparso tre anni fa in Siria, da parte del direttore di Caritas italiana don Francesco Soddu. «Da 6 anni è iniziata la guerra in Siria – ha ricordato – e da 3 padre Dall’Oglio è assente dalla storia». Di quella storia sono invece protagonisti i giovani di cui il rapporto Caritas offre un’istantanea: poveri, disoccupati, con famiglie divise dal conflitto, affetti da disordini post traumatici da stress, in gran parte abusati e torturati. Più di 91 intervistati su 100 dichiarano che i giovani vivono in povertà, in famiglie con seri problemi economici. Il 41,7% degli intervistati dichiara di vivere in zone pacificate, o senza un esplicito conflitto in corso; tuttavia la stragrande maggioranza afferma di vivere in luoghi con un’alta presenza di sfollati (il 68,2%), mentre il 61,4% ritiene di essere in pericolo, o per l’alto rischio di attacchi terroristici (37,1%) o perché c’è ancora un residuale conflitto armato in corso (24,2%). Il 34,1% dichiara di vivere in una zona che ha riportato ingenti distruzioni e danni materiali a causa del conflitto. Ancora, il 74,8% degli intervistati dichiara che i giovani denunciano seri problemi di alloggio (sfollati, case senza servizi essenziali). La causa, spesso, sta nei forti problemi di disoccupazione denunciati dall’84,5% degli intervistati.

Accanto alla disoccupazione, il fenomeno della migrazione, denunciato dall’87,5% degli intervistati. Moltissimi i giovani che hanno visto i familiari partire e le famiglie di origine dividersi, tanto che il 64,9% degli intervistati crede che i giovani affrontino in maniera problematica le relazioni familiari. Di poco più basso (61,9%) il dato di quanti ritengono che i giovani in famiglia vivano problemi legati alla mancanza di opportunità formative ed educative. Esistono però anche altri dati, più legati allo specifico del contesto siriano, «forse più inquietanti», è il commento dei curatori della ricerca. Come il fatto che oltre un quarto degli intervistati dichiari che i giovani si trovano in famiglie con problemi con la giustizia o che abbiano subito delle detenzioni, o che il 35,3% metta le dipendenze in famiglia tra i problemi abbastanza o molto frequenti dei giovani.

Un problema, quello delle dipendenze, maggiormente percepito dalle donne che dagli uomini. Accanto a questo, i problemi di salute (57,4% degli intervistati) e la disabilità (44,1%), tra le principali difficoltà delle famiglie dei giovani siriani. Nell’84% dei casi, le disabilità sono state causate proprio dal conflitto. Ancora, il rapporto fotografa anche una serie di comportamenti a rischio dei ragazzi siriani: il fumo, su tutti, denunciato dal 94,5% degli intervistati, ma anche, in generale, i comportamenti violenti (67,4%) e il bullismo (52%). Oltre 66 intervistati su 100 dichiarano che i giovani girano armati e il 36,8% afferma che spesso si uniscono a gruppi estremisti. Il 53,3% segnala che le famiglie siriane hanno avuto problemi a causa di torture o abusi.

Eppure, nonostante la guerra, i giovani siriani cercano di vivere una vita il più normale possibile: si impegnano nel volontariato a favore degli altri giovani (64,4%), nelle attività di animazione ed educazione religiosa (55,3%) o di promozione della pace e della nonviolenza (13,6%). Le priorità raccontate ai ricercatori Caritas sono quelle di tutti i giovani: la scuola e l’università (95,1%), i corsi professionali (91,7%), lingue straniere (89,7%), creazione posti lavoro (88,8%), assistenza disabili (80,2%), educazione sessuale (71,3%). «I giovani – è l’appello della Caritas -, con loro competenze ed energie, non dovranno essere abbandonati alla gravosa responsabilità di fermare la violenza e ricostruire un Paese. Solo grazie ai giovani la nonviolenza potrà finalmente tornare a sbocciare nella sofferente nazione siriana, come un fiore tra le macerie». Da parte sua, Caritas italiana partecipa alla struttura di coordinamento che la rete Caritas organizza nelle emergenze maggiori e sostiene una “cellula d’appoggio” a Caritas Siria. Un rapporto di collaborazione particolare è in corso con la Caritas regionale di Homs, che Caritas italiana sostiene finanziariamente da tre anni, con un contributo di circa 200mila euro l’anno, per un ampio progetto di aiuti di urgenza.

Alla presentazione del rapporto è intervenuto anche il vescovo di Aleppo Antoine Audo, presidente di Caritas Siria. «Il problema dell’islam oggi – ha spiegato – è come accettare la modernità, che significa libertà di coscienza, dialogo interreligioso ed ecumenico. Per l’islam questi aspetti sono un pericolo e la risposta è la lotta tra sunniti e sciiti per avere la leadership nel mondo musulmano. Noi cristiani del Medio Oriente – ha proseguito – abbiamo la vocazione del dialogo e del rispetto: il mondo musulmano ha bisogno di questo e non di armi, che producono violenza e odio». In Siria ci sono vescovi cattolici e ortodossi e due comunità protestanti. «Insieme – le parole di monsignor Audo – dobbiamo diventare cristiani, superando l’appartenenza confessionale. Insieme, poi, cristiani e musulmani devono diventare cittadini».

Come presidente di Caritas Siria, il vescovo ha evidenziato che per l’80% il servizio reso dalla Caritas è a vantaggio di musulmani. «Noi non siamo i ricchi che vogliono dare ai poveri né i cristiani buoni che facciamo la carità ai musulmani poveri. Noi siamo esseri umani che rispettiamo la dignità umana degli altri. Questo è il cammino da compiere». Con un atteggiamento di rispetto e «non di superiorità, che era tipico del colonialismo. Un atteggiamento che i musulmani non hanno dimenticato e che ha suscitato la voglia di vendetta». Ma, purtroppo, «questo non è chiaro in Occidente». Tra i motivi della fuga dal Paese, il presule annovera il timore di essere richiamati nell’esercito, che «crea paura e angoscia soprattutto tra i cristiani, che cercano di fuggire in Libano». In generale però resta determinante il problema sicurezza, soprattutto ad Aleppo est, dove, ha assicurato, «ora non ci sono gruppi armati, ma c’è una grande emergenza umanitaria. Tutti sono diventati poveri. Non ci sono acqua, elettricità, tutto è caro e non c’è lavoro». Rispondendo all’invito di Papa Francesco di promuovere un’opera per il Giubileo della Misericordia, Audo ha organizzato «un grande appartamento per l’accoglienza di persone anziane sole», che sono tante. «Anch’io che ho una famiglia numerosa, con fratelli, sorelle e nipoti – ha confidato – tra qualche anno penso che sarò l’unico a restare in Siria».

15 marzo 2017