Il cardinale Simoni: condannato a morte, Dio mi ha salvato

La testimonianza del porporato albanese, 91 anni, all’ospedale San Giovanni. Fu perseguitato dal regime di Hoxha: 11mila giorni di prigionia e lavori forzati

«Hanno fatto di tutto per eliminarmi ma il Signore non mi ha mai abbandonato. Ero stato condannato a morte per impiccagione ma Dio mi ha salvato». Il cardinale Ernest Simoni, sacerdote albanese di 91 anni, ripercorre con disarmante naturalezza gli 11.107 giorni di prigionia e lavori forzati. Unico sacerdote ancora vivente testimone della persecuzione del regime comunista di Enver Hoxha, che proclamò l’Albania il «primo Stato ateo al mondo», unico cardinale albanese, il porporato ha raccontato la sua storia al giornalista di Tv2000 Fabio Bolzetta nel corso dell’incontro “La libertà della fede, la bellezza del Vangelo” svoltosi questa mattina, giovedì 4 aprile, nella cappella dell’ospedale San Giovanni-Addolorata. Testimonianza proposta al termine della Messa presieduta dal cardinale, voluta dalla cappellania del nosocomio guidata dai religiosi camilliani, in collaborazione con le associazioni di volontariato dell’ospedale e le Suore Ospedaliere della Misericordia. Concelebranti il padre provinciale Antonio Marzano e il cappellano padre Germano Santone.

Creato cardinale da Papa Francesco nel 2016, Simoni afferma che la sua berretta cardinalizia «è il riscatto del popolo albanese». Domenica 7 aprile festeggerà 63 anni di ordinazione sacerdotale, preferisce essere chiamato “padre”, parla alternando italiano e latino, ripete che nella sua vita hanno fatto tutto Gesù e Maria, invita ad impegnarsi «per salvare la gioventù», per diffondere «il Vangelo della vita in un mondo che ha dimenticato Cristo».

Fu arrestato la notte di Natale del 1963, dopo la celebrazione della Messa per il solo fatto di essere sacerdote. «Quattro poliziotti mi portarono via con la forza, stavano per rompermi le braccia», ha affermato ricordando che fu arrestato dalle autorità comuniste perché praticava esorcismi e perché aveva celebrato Messe in suffragio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, assassinato il mese precedente. Fu incarcerato, torturato, condannato a morte, pena commutata in 25 anni di lavori forzati. Tornò libero solo nel 1990 con la caduta del regime comunista.

Nonostante le vessazioni non ha mai smesso di pregare per i suoi persecutori perché «chi dice che ama Gesù deve farlo sempre e quando affermiamo che Gesù è vivo non è mitologia, è la verità, è Lui che mi ha dato la forza per affrontare il carcere». Si sofferma sull’importanza del perdono perché è quello che «porta Gesù nel mondo». Non ha mai usato parole di odio o di rancore nei confronti dei suoi carcerieri perché «solo l’amore vince». Ha celebrato Messa anche mentre era recluso, usando pane che si cuoceva da solo e chicchi di uva che spremeva tra le mani per ricavarne il vino da consacrare sull’altare. Incardinato nella diocesi di Firenze, oggi vive nel capoluogo toscano e viaggia molto per diffondere la sua testimonianza anche nelle altre diocesi.

Padre Antonio Marzano, superiore provinciale della provincia romana dei Camilliani, ha rimarcato che oggi «il mondo ha bisogno di testimoni più che di maestri, come auspicava Papa Paolo VI». Ringraziando “padre Ernest” per il suo intervento, ha aggiunto che «è il volto di una Chiesa perseguitata. Sono milioni i cristiani ancora oggi perseguitati in varie parti del mondo e noi italiani non immaginiamo cosa significhi vivere in questi contesti». Presente all’incontro anche padre Germano Santone, cappellano della comunità ospedaliera di San Giovanni-Addolorata, che si è detto felice della mattinata perché «il cardinale Simoni è un grande esempio per i giovani che studiano e lavorano in questa struttura e per gli ammalati. Abbiamo voluto portare una testimonianza così forte in questo luogo di sofferenza per far comprendere che affidandosi al Signore si può trovare un significato anche nel dolore».

4 aprile 2019