Mafie e corruzione. Don Ciotti: «Rischio “normalizzazione”»

Presentata un’indagine di Libera sulla percezione degli italiani. Solo il 38% ritiene le mafie «un fenomeno preoccupante» e «socialmente pericoloso». La corruzione è «radicata» ma l’80% ha paura di denunciare

«Oggi c’è una grande difficoltà, o forse una resistenza, a cogliere l’evoluzione delle mafie nel nostro Paese, il loro legame con la corruzione, l’area grigia, la loro penetrazione nel mercato. Il rischio, sia a livello della politica, sia dei cittadini e della sensibilità pubblica, è di normalizzare tutto questo». È la preoccupazione che don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, esprime a margine della presentazione, ieri, 18 ottobre, a Roma, del rapporto “Liberaidee, la ricerca sulla percezione e la presenza di mafie e corruzione”.

«Dobbiamo dire con molta forza e determinazione – il monito del sacerdote – che nel nostro Paese c’è una sottovalutazione della pericolosità mafiosa. L’equazione mafia – sangue che ci ha accompagnato per tanti anni è superata. Salvo eccezioni, si continua a morire e a uccidere solo a Napoli e nella provincia di Foggia; tutto il resto è metodo corruttivo. Ma questa consapevolezza, questa coscienza non c’è e soprattutto continua a sopravvivere il pregiudizio che le mafie siano essenzialmente al sud mentre tutti abbiamo davanti ai nostri occhi che non è così». Di fronte a questa difficoltà «ad assumere le mafie come questione nazionale», insiste, «occorre tenere gli occhi aperti e le coscienze sveglie, non dare nulla per scontato o conquistato una volta per tutte» e continuare ad «essere spina al fianco della politica e delle istituzioni».

Inquietudini non infondate quelle del fondatore di Libera. Dal Rapporto – un’indagine quantitativa (10.343 questionari su tutto il territorio) e qualitativa (100 interviste da responsabili o rappresentanti delle principali associazioni nazionali del mondo del lavoro), costruita insieme alla rete territoriale – emerge infatti che il 74,9% degli italiani ritiene le mafie un «fenomeno globale» ma solo il 38% parla di «un fenomeno preoccupante» e «socialmente pericoloso» sul proprio territorio. Solo per l’8,5% la mafia è diffusa in tutta Italia, per la maggior parte degli intervistati riguarda ancora e solo il sud.Per questo, chiosa Francesca Rispoli, dell’ufficio presidenza Libera, illustrando la ricerca, il percorso «Ideeinviaggio durerà diversi mesi. Faremo tappe anche in Svizzera, Belgio, Francia e Germania per aumentare la consapevolezza e raccogliere nuove idee di contrasto civile e sociale alle mafie».

Forte la denuncia del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho: «su mafie e corruzione c’è spesso poca attenzione da parte della politica». Eppure si tratta di «una patologia che colpisce il Paese nel quale la corruzione dilaga perché vi è una mafia che esercita un controllo molto preoccupante anche sull’economia e sulla politica. Non sento attenzione su questi fenomeni, non sento parlare della necessità di contrastarli, ma mafie e corruzione – avverte – non riguardano solo la Dna, l’Anac o la magistratura. Sono anzitutto una questione politica ed è dalla politica che deve partire un ordine fermo: stop alla corruzione, chi denuncia deve essere difeso, la mafia va annientata». E con riferimento all’ipotesi di scudo fiscale, «provvedimenti come questo – avverte – favoriscono chi ha seguito la via dell’illegalità, prime tra tutti le organizzazioni mafiose. Una maggiore attività di controlli fiscali, di controlli sulle società, consentirebbe di conseguire un migliore obiettivo».

«Purtroppo le mafie hanno una straordinaria capacità di mimetizzazione, di lavorare tendenzialmente sotto traccia – sostiene il magistrato Giancarlo Caselli, già procuratore della Repubblica -; per questo non vengono percepite nella loro realtà. Tuttavia «la percezione della gente, ancorché soggettiva, è un dato obiettivo dal quale non si può prescindere» perché «oggi essa viene spesso strumentalizzata per la propaganda e l’orientamento delle scelte della comunità». Di qui l’invito a liberarsi dalle «logiche del “tanto non vale la pena e non cambia mai niente”» e ad un serio impegno perché «sono le scelte di oggi che preparano il futuro». Scelte «che occorre fare partendo dalla Costituzione che, come ricordava Piero Calamandrei agli studenti, non è una macchina che si muove da sola ma ha bisogno ogni giorno di combustibile: impegno e responsabilità».

«Si continua a pensare che la corruzione sia un tema che interessa lo Stato e le istituzioni; invece ha una base nell’illegalità quotidiana, nel mancato rispetto delle regole», avverte da parte sua Raffaele Cantone, presidente Anac (Autorità nazionale anticorruzione). Commentando l’indagine, Cantone si sofferma sulla sfiducia espressa dagli intervistati nelle istituzioni e fa notare che «quanto più è alta, tanto più la corruzione la fa da padrone». Si tratta, spiega, di «un problema che non si risolve con la denuncia; occorre l’impegno dei cittadini», ma «è inquietante che solo il 20% del campione ritenga utile votare per i cittadini onesti», così come è pericoloso «credere che non si possa fare nulla. In questo modo si consegna a terzi la delega per i cambiamenti e questo è profondamente sbagliato». Il presidente Anac non ha dubbi: «Per contrastare la corruzione è indispensabile un movimento che parta dal basso». Importante la rete sul territorio, conclude Marisa Parmigiani, responsabile sostenibilità Gruppo Unipol, richiamando l’impegno per la legalità da parte del Gruppo attraverso i suoi consigli regionali. (Giovanna Pasqualin Traversa)

19 ottobre 2018