Pizzaballa: in Terra Santa, «tragedia senza precedenti»

Il patriarca latino di Gerusalemme intervenuto alla Pontificia Università Lateranense con una lectio magistralis su “Caratteri e criteri di una pastorale della pace”. Ha parlato di «un panorama desolante» ma ha aggiunto: «Per la pace si deve rischiare, sempre»

«Tragedia senza precedenti». È la definizione del patriarca di Gerusalemme dei Latini il cardinale Pierbattista Pizzaballa per descrivere la situazione in Terra Santa dove, nonostante tutto, si scorgono scintille di speranza tra chi vuole lavorare per la riconciliazione e la pace. Alle tensioni politico-militari si aggiunge il disfacimento del tessuto sociale e religioso. Il divario tra le comunità si allarga, i già rari spazi di dialogo interreligioso e civile si sfaldano, la sfiducia aumenta. «Un panorama desolante», ha affermato il porporato che oggi, 2 maggio, nell’aula Paolo VI della Pontificia Università Lateranense ha tenuto la lectio magistralis su “Caratteri e criteri di una Pastorale della Pace”: una pastorale che «ha solo il Vangelo come riferimento».

A margine dell’evento ha spiegato che la «pace vera e duratura richiederà tempi lunghi. Bisogna lavorare per la cessazione delle ostilità, è difficile individuare percorsi e prospettive mentre c’è il conflitto in corso». A chi gli chiedeva chiarimenti sul ruolo della Santa Sede ha risposto che «tutte le realtà, inclusa la Chiesa, creano spazi e contesti di facilitazione». Ma non è compito della Chiesa «entrare nelle mediazioni, soprattutto in realtà così complesse e problematiche».

Paolo Asolan, Pierbattista Pizzaballa. Daniele Rocchi, Giulio Alfano, lateranense 2 maggio 2024Nell’incontro, promosso dall’Istituto Pastorale Redemptor Hominis in collaborazione con il ciclo di studi in Scienze della Pace e della cooperazione internazionale, Pizzaballa ha delineato criteri per l’azione di pace della Chiesa di Terra Santa partendo dalla sua esperienza in un luogo «ancora sanguinante», nel quale vive dagli anni ’90, e dove «molti, troppi, hanno di fronte macerie». In tutto questo, ha spiegato il cardinale, si assiste «dolorosamente alla crisi crescente degli organismi multilaterali, come ad esempio l’Onu, sempre più impotente e, per molti, ostaggio delle grandi potenze. La comunità internazionale è sempre più debole. Quanti sono deputati al mantenimento e alla promozione della pace, alla difesa dei diritti, alla costruzione di modelli di società dignitosi, hanno mostrato tutta la loro debolezza».

Per la pace, termine sempre più spesso «oggetto di strumentalizzazioni senza fine», si deve «rischiare, sempre», ha proseguito. La prima condizione per la pace è riconoscere la propria debolezza e, in essa, contemplare il volto di Dio. La seconda è «tornare al volto dell’altro, alla centralità della persona umana e della sua ineguagliabile dignità». Nell’incontro moderato dal giornalista dell’agenzia Sir Daniele Rocchi, riflettendo sulla difficile missione della Chiesa di annunciare e testimoniare la pace in un contesto così difficile, ha affermato che «conflitto e divisione, con le conseguenze di odio e rancore, sono una realtà ordinaria» in Terra Santa, che «richiede da parte della comunità cristiana un continuo cammino di riflessione e di elaborazione spirituale, pastorale e sociale. Parlare di pace, quindi, non è parlare di un tema astratto, ma di una ferita profonda nella vita della comunità cristiana».

Paolo Asolan, Pierbattista Pizzaballa. Daniele Rocchi, Giulio Alfano, lateranense 2 maggio 2024Una riflessione continua che poggia su pilastri solidi, a partire dalla convinzione che pace non significa «soppressione delle differenze», ma accoglienza, dialogo e rispetto reciproco. La pace ha inoltre «bisogno della testimonianza di gesti chiari e forti da parte di tutti i credenti, di essere annunciata e difesa da parole altrettante chiare perché non si può tacere di fronte alle ingiustizie». Il ruolo della Chiesa in Terra Santa, quindi, non deve essere circoscritto alla carità ma «siamo chiamati anche noi credenti ad amare e servire la polis – le parole del patriarca – e condividere con tutti la preoccupazione e l’azione per il bene comune, nell’interesse generale di tutti e specialmente dei poveri, alzando sempre la voce per difendere i diritti di Dio e dell’uomo, ma senza entrare in logiche di competizione e di divisione».

Pizzaballa ritiene che per raggiungere la pace in Medio Oriente sia necessaria una leadership religiosa autentica capace di promuovere il dialogo interreligioso. «Vi è un grande assente in questa guerra – ha detto -: la parola dei leader religiosi. Rapporti interreligiosi che sembravano consolidati oggi sono spazzati via da un pericoloso sentimento si sfiducia». Ciascuno – ebrei, cristiani, musulmani – «si sente tradito dall’altro, non compreso, non difeso, non sostenuto». A chi in sala chiedeva il peso della leadership del Papa e dello stesso patriarca, quest’ultimo ha spiegato che in questo momento li si vuole «arruolare da una parte o dall’altra ed è difficile dire qualcosa di costruttivo. Il Papa è molto presente, è una delle voci che i cristiani hanno sentito più spesso». Altro tema centrale è il perdono, che non va disgiunto dalla verità e dalla giustizia.

Il patriarca ha quindi lanciato un monito alla Chiesa, invitandola a non cadere nella tentazione di «colmare il vuoto lasciato dalla politica – ha dichiarato -. Non è questo il compito della Chiesa, che deve rimanere Chiesa, comunità di fede». La mattinata è stata introdotta dai saluti del rettore, l’arcivescovo Alfonso Amarante, e del preside dell’Istituto Pastorale Paolo Asolan, mentre le conclusioni sono state affidate a Giulio Alfano, coordinatore del ciclo di studi in Scienze delle Pace.

2 maggio 2024