Una marcia silenziosa, per ricordare la deportazione degli ebrei di Roma

Nell’appuntamento di Sant’Egidio e Comunità ebraica, percorso a ritroso il tragitto delle vittime del rastrellamento del Ghetti, il 16 ottobre 1943. Di Segni: «Intolleranza, odio ed emarginazione, le vie che portano ad Auschwitz»

Mai più tanta violenza. Mai più tanto odio. Mai più tanta disumanità. Sono le frasi riecheggiate più volte ieri sera, domenica 21 ottobre, in occasione della Marcia della  memoria, in ricordo della deportazione degli ebrei romani. In testa al corteo, un lungo striscione bianco con la scritta in rosso “La pace è il futuro”. A sorreggerlo, numerosi bambini. Organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità ebraica di Roma per il 75° anniversario del rastrellamento del Ghetto, il “pellegrinaggio della memoria”, giunto alla 24ª edizione, ha percorso in composto silenzio il tragitto a ritroso degli oltre mille ebrei deportati dalle truppe tedesche della Gestapo il 16 ottobre del 1943.

In quel “sabato nero” furono 1.024 gli ebrei trasferiti nei campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau, tra i quali oltre 200 bambini. Il più piccolo aveva poche ore di vita. Al “bambino senza nome” partorito nel collegio militare la notte tra il 16 e il 17 ottobre 1943, ucciso con la mamma, Marcella Perugia, e i due fratellini, la presidente della comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello ha dedicato la marcia di quest’anno. Al termine della seconda guerra mondiale tornarono a casa 15 uomini e una sola donna, Settimia Spizzichino. Il rastrellamento fu l’ultima tappa di un cammino doloroso iniziato nel 1938 con la promulgazione delle leggi razziali, di fatto l’anticamera dei lager nazisti, e fu possibile proprio perché quei provvedimenti legislativi avevano favorito l’identificazione dei membri della comunità ebraica romana. Leggi che costrinsero i bambini ebrei a lasciare le scuole. Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha paragonato lo stupore di quei bambini che non comprendevano cosa stesse accadendo allo «sconcerto» dei piccoli alunni stranieri di Lodi esclusi dalla mensa scolastica «solo perché bambini diversi». È quindi necessario vigilare e denunciare la cultura dell’odio. «Dire mai più – ha aggiunto – coincide come non mai con una battaglia quotidiana che va ben oltre il 16 ottobre, da condurre a viso aperto e a testa alta in difesa dei principi della Repubblica, della democrazia, della libertà e a sostegno del primo garante di questa Costituzione, il presidente Sergio Mattarella».

Centinaia di persone di tutte le età appartenenti a varie nazionalità e di credo religioso diverso hanno partecipato alla marcia silenziosa partita da piazza Santa Maria in Trastevere e giunta a largo 16 ottobre 1943, accanto al Tempio Maggiore. Tra le fila del corteo, illuminato dai flambeaux, un altro striscione blu recitava “Non c’è futuro senza memoria” e numerosi cartelli riportavano i nomi di diversi campi di concentramento, da Auschwitz a Bergen-Belsen, Ravensbrück, Gross Rosen, Mauthausen, Dachau. Nomi che per il ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Enzo Moavero Milanesi devono ben rimanere impressi nella memoria, perché sono «segno della vergogna e dell’abisso a cui può arrivare l’uomo e a cui può portare l’odio».

Per la prima volta ha partecipato alla marcia il cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis il quale non ha nascosto la sua emozione. Ha parlato di una «tragedia inimmaginabile» davanti alla quale «occorre silenzio per camminare gli uni accanto agli altri». Ottant’anni dopo la promulgazione delle leggi razziali è necessario vigilare «sulle affermazioni che pretendono di fondare se stesse sulla scienza che non è verità ma si spaccia per tale» ha affermato il porporato dopo aver ricordato la visita di Papa Francesco al Tempio Maggiore nel gennaio 2016. «La vocazione alla pace che sgorga dalle nostre rispettive radici – ha concluso – ci aiuti a vigilare sulla tronfia stoltezza di chi si lascia affascinare dalla violenza».

Per Don Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere, quanto accaduto 75 anni fa ha rappresentato una «ferita drammatica, una lacerazione insanabile» per la comunità ebraica, per Roma, l’Italia e l’Europa intera. La “marcia della memoria” non vuole essere solo una commemorazione ma, come ha spiegato Ruth Dureghello, vuole «sugellare un’unione» che per la comunità ebraica è «motivo di orgoglio, fiducia e speranza».  Le nuove generazioni, ha aggiunto, devono comprendere che gli obiettivi da perseguire sono la pace, la libertà e la democrazia.

Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha ricordato quella «giornata di disumanità totale» consumatasi «nel mare dell’apatia di tanti» attraverso le pagine del diario di Michele Tagliacozzo, ebreo romano riuscito a scampare dal rastrellamento. «Quel giorno orribile richiama dolori del mondo ancora aperti», ha aggiunto Riccardi. Rivolgendo un pensiero agli immigrati ha rimarcato che «nessuno merita disprezzo e loro non meritano di diventare capro espiatorio della paura». L’ostilità, l’intolleranza, l’odio, l’emarginazione, sono «le vie che portano ad Auschwitz – ha aggiunto il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni -. Dipende da tutti noi fare in modo che tutto questo non accada mai più». Ricordare è un dovere perché «non è mai abbastanza» quel che si dice sul 16 ottobre, sulle leggi razziali e sul periodo del nazifascismo, ha ribadito il sindaco di Roma Virginia Raggi, secondo la quale la tragedia degli ebrei è stata «relegata a quattro pagine di un libro di storia. Momenti come questi servono a dirci chi siamo stati e chi non vogliamo più essere».

22 ottobre 2018