Il Papa a Villa Nazareth: «Anch’io ho avuto crisi di fede»

Francesco ha incontrato i giovani del collegio universitario e ha risposto a sei domande toccando temi importanti: dalle persecuzioni all’accoglienza

Francesco ha incontrato i giovani del collegio universitario e ha risposto a sei domande toccando temi importanti: dalle persecuzioni all’accoglienza 

Il Papa è arrivato poco dopo le 17.30, quasi puntuale con la tabella di marcia, sul palco allestito all’esterno di Villa Nazareth per celebrare insieme con Francesco i settant’anni della comunità fondata da un sacerdote romano, Domenico Tardini, poi divenuto cardinale e segretario di Stato. Prima di raggiungere la folla di persone, che lo hanno pazientemente atteso sotto il solleone, Francesco ha commentato, a braccio, la parabola del Buon Samaritano con alcuni studenti, nella cappella, in collegamento audio con la zona del palco. In cappella ha ricevuto anche il saluto del cardinale Achille Silvestrini, presidente della Fondazione Domenico Tardini, che dal 1986 gestisce la comunità. Appena giunto sul palco il Pontefice ha ricevuto il saluto di monsignor Claudio Maria Celli, vice presidente di Villa Nazareth.

È la seconda volta che Papa Francesco
incontra Villa Nazareth: la prima è stata durante una Messa pre-natalizia, nel 2013. La visita del Papa arriva vent’anni dopo quella di San Giovanni Paolo e dieci anni dopo quella di Benedetto XVI. «È molto triste vedere vite parcheggiate», ha esclamato il Papa, che stasera a Villa Nazareth si è trattenuto più di un’ora con gli studenti, rispondendo alle loro domande. A Valentina Piras, 24 anni, di Sassari, che gli ha porto la prima domanda, Francesco ha definito triste il «vedere persone che sembrano più mummie che esseri viventi». «Rischia!», l’imperativo consegnato ai giovani: «Rischia su ideali nobili, rischia sporcandoti le mani, rischia come ha rischiato quel samaritano della parabola».

«Quando noi siamo nella vita più o meno tranquilli, c’è sempre la tentazione della paralisi», ha ammonito il Papa, secondo il quale «lo sbaglio più brutto» è «la chiusura». La prima «parola-chiave» è la testimonianza: per Francesco, «la testimonianza che i giovani cercano è la testimonianza dello schiaffo: è una bella testimonianza quotidiana, quella che ti sveglia» dalle «illusioni più vicine a noi», come «l’illusione del successo, l’illusione del culto del proprio ego». «Lo specchio è di moda», ha detto il Papa stigmatizzando «quel narcisismo che ci offre la cultura di oggi», e che rischia di renderci «uomini e donne parcheggiati nella vita, che non camminano». In una parola, «conformisti».

Parlare di «genocidio» dei cristiani è «riduzionismo». «A me non piace quando si parla di un genocidio di cristiani, per esempio in Medio Oriente: è un riduzionismo», ha detto il Papa, rispondendo alla seconda domanda, fattagli da Gabriele Giuliano, 25 anni, di Pachino (Sicilia). Più che di genocidio, ha precisato Francesco, si tratta di «una persecuzione, che porta i cristiani alla fedeltà, alla coerenza della propria fede». «Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio», il suo invito. Il caso citato è quello dei 13 uomini egiziani, copti, sgozzati sulle spiagge della Libia, e che oggi sono diventati santi: «Tutti sono morti dicendo: ‘Gesù, aiutami’», ha detto Francesco. «Sono sicuro che la maggioranza di loro non sapeva neppure leggere», ha proseguito: «Non erano dottori in teologia, era gente ignorante, ma erano dottori di coerenza cristiana, cioè della testimonianza di fede».

Questo tipo di martirio «è il massimo, è eroico», ma «non è l’unico modo di testimoniare Gesù Cristo»: per il Papa «c’è il martirio di tutti i giorni: il martirio dell’onestà, della pazienza, dell’educazione dei figli, della fedeltà all’amore». Il «martirio dell’onestà», ha detto Francesco, «si può chiamare anche il paradiso delle tangenti, dove manca il coraggio di buttare in faccia i soldi sporchi». «Viviamo in un mondo dove tanta gente dà da mangiare ai figli il pane sporcato delle tangenti», ha esclamato: «Lì è la testimonianza cristiana, lì è il martirio».

«Tante volte io mi sono trovato in crisi con la fede», ha confessato il Papa. «Alcune volte – ha rivelato – ho avuto anche l’arditezza di rimproverare Gesù e anche di dubitare: sarà la verità o un sogno? Da ragazzo, da seminarista, da prete, da religioso, da vescovo e anche da Papa». «A un cristiano la cui fede non è entrata in crisi manca qualcosa: è un cristiano che si accontenta di mondanità», l’analisi di Francesco, che ha ricordato come «Gesù ci ha amato, ci ha guarito: siamo in via di guarigione, sempre». Tra i «limiti intrinseci a noi», il Papa ha citato «l’ipocrisia nella Chiesa, l’ipocrisia dei cristiani: questi limiti ci scoraggiano, e così la fede entra in crisi».

No a cristiani truccati. «La gratificazione individuale non ha niente a che fare con la gratuità», ha risposto il Papa alla terza domanda del «botta e risposta» di Villa Nazareth, postagli da Giacomo Guarini, 29 anni, di Pulsano (Puglia). «Dio ci ha creato gratuitamente e ci ha mandato Gesù gratuitamente», ha ricordato Francesco invitando a non dimenticare «il senso della gratuità». «In questa civiltà del ‘do ut des’ – il grido d’allarme – tutto si negozia, tutto si compra». «Anche con Dio abbiamo un atteggiamento da ‘do ut des’», l’analisi del Papa, frutto di «un individualismo che ci porta a gravissime ingiustizie, umane e sociali». La ricerca della gratificazione individuale appartiene all’edonismo, che per Francesco «è una cultura dell’egoismo, in cui si cerca la soddisfazione personale». «Dobbiamo fare tanto lavoro per distinguere tra i santi e quelli che si truccano da santi», il monito di Francesco: «Abbiamo tanto cristiani truccati che non sono cristiani».

No al lavoro schiavo. «Una cosa è lavorare, un’altra è fare cose per approfittarsi degli altri», ha precisato il Papa. «Mi fa tanto bene pensare a don Bosco, in quella Torino massonica, mangiapreti, povera, dove i ragazzi erano per strada», ha proseguito Francesco: «Ha fatto educazione d’emergenza, ha fatto studiare i giovani per fare imparare loro mestieri semplici ed entrare nella cultura del lavoro». «Il lavoro – ha spiegato il Papa – non è fare cose: assomiglia a Dio che è creatore, artigiano. È un luogo di vocazione, non un luogo di stallo, di parcheggio». «Tante volte invece il lavoro, nel senso di fare cose, fa sì che venga meno la famiglia, il matrimonio», il grido d’allarme del Papa, che ha stigmatizzato quel «lavoro schiavizzato che non permette di vivere la gratuità dell’amore di Dio» e non consente ai genitori di avere tempo per giocare con i loro figli. Tutto ciò, per Francesco, «è colpa di un’ingiustizia morale che vive nella società», e che si concretizza nel «lavoro schiavo». «Curate la famiglia, il marito, la moglie, curate i bambini, curate i nonni: loro sono la nostra memoria», l’invito del Papa agli studenti.

Le «grandi ingiustizie» sono «un peccato mortale». Rispondendo alla quarta domanda, ad opera di Maria Elena Tagliaboschi, 42 anni, di Anagni, il Papa ha usato toni netti a Villa Nazareth: «Il mondo economico è immorale», anche se «ci sono eccezioni, c’è gente buona, c’è gente che cerca di cambiare questo». «Ma l’atmosfera mondiale – la denuncia del Papa – è quella per cui l’uomo e la donna sono stati spostati dal centro dell’economia e lì c’è il dio denaro». «Da queste ingiustizie vengono tante nuove povertà»; e questo per Francesco è «un peccato mortale». I flussi migratori, ad esempio, «sono in gran parte flussi per la fame, perché il loro Paese è stato sfruttato e hanno fame. Tanti, invece, fuggono dalla guerra». «È la fame che rende più solidi i traffici di armi», la tesi del Papa: «Per fare arrivare aiuti umanitari a Paesi di guerra o di guerriglia, si trovano tante difficoltà, ma le armi arrivano sempre, non c’è dogana che le fermi. È l’affare che rende di più». In sintesi, «siamo schiavi e vittime di un sistema economico che uccide».

Manca l’accoglienza quotidiana. C’è la «grande accoglienza», di «quelli che vengono dalle terre lontane», e c’è la «piccola accoglienza», «quando torni dal lavoro e c’è tua figlia adolescente in difficoltà». Lo ha spiegato il Papa ad Antonio Casamassimi, 72 anni, di Napoli. Entrato a Villa Nazareth all’età di cinque anni nel periodo di monsignor Tardini, è stato lui a porgli la quinta domanda. «Stiamo vivendo una civiltà di porte chiuse, di cuori chiusi», ha detto Francesco: «Ci difendiamo l’uno dall’altro, abbiamo paura ad accogliere». «E non parlo soltanto dell’accoglienza ai migranti – ha precisato -, quello è un grande problema politico mondiale, ma anche dell’accoglienza quotidiana, di quello che mi cerca per annoiarmi con le sue lamentele, con i suoi problemi, e viene da me per una parola di conforto».

«Mi fa male quando vedo le chiese a porte chiuse», ha ribadito il Papa: «Significa che quella comunità cristiana ha il cuore chiuso, è chiusa in se stessa». «Dobbiamo riprendere il senso dell’accoglienza», l’invito di Francesco, che ha esortato anche a riprendere «l’apostolato dell’orecchio»: «Non abbiamo più tempo per ascoltare, ma se non accogliamo non siamo cristiani e non saremo accolti nel Regno dei cieli. È matematica, è la logica del Vangelo». «Voi, che siete stati accolti in questa casa – l’invito ai presenti – avete una responsabilità sociale ed ecclesiale: insegnare e far capire che questa è la porta della strada cristiana».

Cultura del provvisorio indebolisce il matrimonio. È la «cultura del provvisorio» che mina il sacramento del matrimonio e la sua indissolubilità. Lo ha ribadito il Papa, rispondendo alla sesta domanda che ha scandito l’incontro con la comunità di Villa Nazareth. Spesso i fidanzati sembrano sapere a cosa vadano incontro con il matrimonio, ha detto Francesco a Massimo Moretti, di Urbania, e invece «non lo sanno, perché questa cultura del provvisorio penetra tanto in noi, nei nostri valori, nei nostri giudizi», e poi porta a dire: «Io mi sposo finché l’amore dura, e quando non dura è finito il matrimonio». Ecco perché la Chiesa «deve lavorare molto nella preparazione al matrimonio»: «È meglio non sposarsi, non ricevere il sacramento del matrimonio se non si è sicuri che lì c’è un mistero sacramentale, l’abbraccio di Cristo, con la Chiesa, se non sei ben preparato». Quando il matrimonio, inoltre, diventa «puramente un fatto sociale», secondo Francesco, «i fidanzati non sono liberi da questa cultura mondana, consumistica, edonistica». Il matrimonio, invece, «si può ricevere solo nella libertà: se non sei libero, non lo ricevi».

«Non ci sono dirigenti eterni: l’unico dirigente eterno è il Padre». Con questa battuta il Papa ha risposto all’ultima domanda del «botta e risposta» che ha caratterizzato l’incontro con la comunità di Villa Nazareth. «Formare figli, discepoli, e lasciare loro la fiaccola perché la portino avanti», l’invito di Francesco in risposta a Luca Monteferrante, 45 anni, di Chieti, vicepresidente dell’Associazione Comunità Domenico Tardini. «O ci si salva tutti, o non si salva nessuno», lo slogan di Francesco mutuato da San Paolo: «Non dovete permettervi divisioni tra di voi. Se ci sono, incontratevi, litigate, dite la vostra, arrabbiatevi, ma da lì uscirà sempre più forte l’unità».

No, allora, ai «particolarismi, che sono brutti». «Tutti noi dobbiamo fare discepoli: è una rinuncia, ma una rinuncia di saggezza», ispirata dallo Spirito Santo, che «è la gioia della Chiesa, è l’armonia, è quello che dalle diversità fa l’armonia di tutta la Chiesa, è la bellezza». Noi uomini di oggi, invece, spesso «neppure sappiamo chi è lo Spirito Santo»: «Quante istituzioni finiscono male o perdono il carisma dell’inizio, perché hanno dimenticato lo Spirito Santo», la provocazione del Papa.

 

20 giugno 2016