“Siamo qui, siamo vivi”: la famiglia Sarano, salvata da un sottufficiale tedesco

Alla vigilia del Giorno della memoria, il volume di Roberto Mazzoli ripropone le pagine del diario di Alfredo. Una storia di salvezza, grazie a un militare di 21 anni che ha deciso di scegliere il bene

Una famiglia di ebrei composta da sei persone salvata da un sottufficiale tedesco di 21 anni, Erich Eder, cattolico di Baviera. Quella che potrebbe sembrare la trama di un romanzo è una vicenda accaduta realmente nell’estate del 1944 sulle colline di Pesaro mentre imperversava la seconda guerra mondiale e gli ebrei venivano sterminati nei campi di concentramento. Da questa storia è nato il libro “Siamo qui, siamo vivi. Il diario inedito di Alfredo Sarano e della famiglia scampati alla Shoa” curato da Roberto Mazzoli e presentato ieri sera, giovedì 18 gennaio, nella cripta della basilica di San Bartolomeo all’Isola.

Appassionato di storia, Mazzoli qualche anno fa ha scoperto la storia di Eder che gli era parsa «la sceneggiatura di un film» e dopo lunghe ricerche per trovare le persone salvate è riuscito a risalire alla famiglia di Alfredo Sarano, gli ebrei che si erano nascosti, con altri 300 civili, nelle grotte del convento del beato Sante Brancorsini, affidato ai frati francescani e occupato dalle truppe naziste della Wehrmacht. Pur avendoli scoperti, Eder, d’accordo con un frate, decide di non rivelare la loro origine ebraica. Una storia che ha particolarmente colpito don Angelo Romano, rettore della basilica di San Bartolomeo, perché «dimostra che è possibile scegliere il bene in ogni situazione».

Questa circostanza era sconosciuta dalla famiglia di Alfredo fino a pochi anni fa. Le figlie avevano conservato per oltre 70 anni il diario del padre, pagine ormai ingiallite, dal contenuto commovente ma anche dettagliato, degli anni delle persecuzioni e che hanno consegnato a Mazzoli «per chiudere il cerchio» della loro salvezza, come ha detto l’autore. Prima di fuggire a Pesaro la famiglia Sarano viveva a Milano dove Alfredo era segretario della comunità ebraica, a conoscenza dell’identità di 13mila ebrei della città. Racconta della solidarietà ricevuta da tante persone che ha permesso loro di salvarsi ma anche di come si era costituita burocraticamente la comunità ebraica di Milano. Dalle pagine emerge anche la fede di un uomo che ricorre a tanti piccoli stratagemmi per procurarsi il necessario e festeggiare la Pasqua ebraica il 7 aprile 1944 ma anche la sua dedizione alla famiglia e gli sforzi fatti per garantire un futuro agli ebrei.

Nel volume Mazzoli non inserisce solo le pagine del diario ma anche paragrafi che spiegano dettagliatamente il contesto arricchendo il racconto con molte note storiche. Presentato all’indomani della 29ª Giornata del dialogo cristiano-ebraico e poco prima del Giorno della Memoria, che si celebra il 27 gennaio, il libro porta alla luce «una storia importante per mantenere viva la memoria – ha commentato Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma -: si raccontano cose terribili ma anche avvenimenti belli avvenuti durante gli anni delle persecuzioni. Una frattura in parte ricomposta ma oggi ci sono ancora tanti elementi minacciosi della società democratica sui quali bisogna vigilare».

Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ricordando che quest’anno ricorre l’80° anniversario dalla promulgazione delle leggi che definisce «razziste più che razziali», ha affermato che il testo «aiuta a trasmettere alle nuove generazioni un dramma che non deve essere dimenticato soprattutto in questo periodo in cui qualcuno alza ancora la voce invocando la difesa della razza bianca». Anche Miriam Haiun, direttrice del Centro di cultura ebraica di Roma, ha posto l’accento sull’importanza di non dimenticare quanto accaduto solo 80 anni fa perché «siamo la generazione di passaggio tra i testimoni della storia e quelli che vengono dopo di noi e divulgare queste vicende è un notevole contributo nel momento in cui c’è tanta smemoratezza». Per don Antonio Rizzolo, direttore di Famiglia Cristiana, «anche oggi vediamo riaffiorare situazioni di odio come quello che si è diffuso in quegli anni» e solo attraverso le testimonianze di chi ha vissuto sulla propria pelle quel periodo terribile «è possibile affrontare la vita di ogni giorno con la speranza di non commettere gli stessi errori del passato».

19 gennaio 2018