Don Enrico Ghezzi: una vita da educatore e parroco, al servizio della diocesi

Il sacerdote, 83 anni a giugno, deceduto il 15 marzo. Tra i promotori del convegno “sui mali di Roma” del 1974, è stato per 15 anni parroco al Labaro e per 17 all’Eur

Un gigante della fede. La Parola di Dio al centro e il Concilio Vaticano II. Tra don Milani, don Mazzolari, il cardinale Martini, Charles de Foucauld, Paolo VI, avendo davanti a sé la lezione di sant’Agostino e la vita povera di san Francesco. Don Enrico Ghezzi, 83 anni a giugno, è andato a incontrare il volto di Dio di cui era innamorato folle, oggi, 15 marzo, dopo una lunga malattia. Una vita intensa spesa per la diocesi di Roma, un educatore e un parroco, “tosto”, un intellettuale di rango che ha combattuto la sua “buona battaglia” ovunque sia stato, nelle periferie e sempre accanto ai più lontani.

Dopo essersi formato all’Università Gregoriana e già una prima esperienza a Sant’Eugenio come viceparroco, nel 1974 è tra i promotori, insieme al sociologo Giuseppe De Rita, a don Luigi Di Liegro e al giornalista Paolo Giuntella, del famoso Convegno “sui mali di Roma” voluto dal cardinale vicario Ugo Poletti. Nel 1976 il cardinale Poletti lo invia al quartiere Labaro, a nord di Roma, a fare il parroco nella nascente chiesa di San Melchiade, una delle prime costruzioni in cemento armato che in quegli anni venivano costruite per avvicinare Parola di Dio e periferie. Qui, a san Melchiade, dove dodici anni dopo fece visita Papa Giovanni Paolo II, don Ghezzi mise a frutto tutto il suo bagaglio intellettuale e di formatore di coscienze. Le prime catechesi per adulti, le missioni nelle case, una comunità cristiana attenta al “bene comune” e a ciò che accadeva, socialmente, nel territorio, la vicinanza ai poveri e ai lontani. E una forte azione culturale che poneva le basi, a livello ecclesiale, sulle novità del Concilio Vaticano II, e a livello socioculturale, sull’eredità del cattolicesimo democratico. A San Melchiade passarono i “big” di questo pensiero: Giuseppe Lazzati, Pietro Scoppola, Vittorio Bachelet, Paolo Giuntella, per provare a dire che dalla periferia è possibile parlare al centro della città, e non viceversa.

Dopo essere stato per 15 anni a Labaro, monsignor Clemente Riva, con cui c’era una profonda stima e affinità ecclesiale, lo inviò alla parrocchia di San Vigilio all’Eur, in una zona più borghese della Capitale, dove rimase per altri 17 anni prima di andare in pensione. Con il tempo ritrovato e svincolato dagli impegni parrocchiali, riprese in modo più organico i suoi studi e l’attività di conferenziere e omileta per tutta la diocesi, non dimenticando la vicinanza a chi soffriva. Fu rettore per tre anni di Santa Maria dell’Orto a Trastevere e cappellano prima alla clinica Villa Betania e poi all’ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina.

Don Enrico Ghezzi non si sottrasse mai, rendendosi disponibile sempre a titolo gratuito, a quanti gli chiedevano articoli e commenti sulla vita della Chiesa e sul Paese – tra le varie riviste, fu collaboratore storico del settimanale Segno 7, dell’Azione cattolica italiana – e scrisse tre libri che dimostrano ancora oggi tutto il suo amore per il valore della Parola: “Come abbiamo ascoltato Giovanni”, una monumentale opera esegetica sul vangelo di Giovanni, “Quale futuro per i sacramenti”, una proposta pastorale per vivere meglio i sacramenti, e un romanzo storico dal titolo “La settimana cruciale di Gesù”. Lascia un’eredità spirituale importante e la scommessa che è possibile vivere il vangelo con il sorriso, avendo sempre davanti a noi la speranza che il mondo può essere cambiato.

La camera ardente sarà allestita domani, 16 marzo, dalle 11 alle 14.30 all’Hospice di Campagnano (via Monte Cuculo 2). I funerali si svolgeranno nel pomeriggio, alle 15.30, alla Fraterna Domus di Sacrofano, in via Sacrofanese 25. (Gianni Di Santo)

15 marzo 2021