Fatebenefratelli, il “morbo K” e le vite salvate nel ’43

La storia di Gabriele Sonnino, scampato a 4 anni dai nazisti grazie a Ossicini, da poco scomparso, al primario Borromeo e al priore Bialek. «Racconto per ringraziare»

«Vivevamo come fossimo in una bolla: ci sentivamo al sicuro ma al contempo prigionieri, anche nel modo di essere salvati». Nel 1943 Gabriele Sonnino aveva solo quattro anni ma i ricordi di quando con la sua famiglia si nascondeva all’ospedale Fatebenefratelli, all’Isola Tiberina, per scappare dai nazisti sono ancora ben impressi nella sua mente. Gabriele, con padre, madre e sorella, sono tra gli ebrei salvati dal professor Giovanni Borromeo, all’epoca primario del nosocomio, dafra Maurizio Bialek, priore, e dal dottor Adriano Ossicini, il medico (poi partigiano e politico) scomparso nei giorni scorsi a 99 anni. Furono loro ad inventare il temutissimo “Morbo K”, la malattia immaginaria ma «pericolosa» che riuscì ad allontanare i nazisti dal reparto d’isolamento dell’ospedale, dopo la retata del 16 ottobre. In quel reparto erano nascosti 80 ebrei. I nazisti, per paura del contagio, non controllarono mai quelle stanze. La sigla K indicava l’ufficiale tedesco Kappler o il generale Kesselring.

Sonnino ricorda bene quei giorni: «Vivevamo in via dei Foraggi. Poco prima di quel 16 ottobre iniziammo a nasconderci. Il nostro primo rifugio fu una baracca fatiscente alla Magliana. Poi mio padre venne a sapere che al Fatebenefratelli c’era chi aiutava gli ebrei. Andammo lì e ci rimanemmo per quattro settimane. A me sembrava di stare in hotel, rispetto alla nostra baracca. Eravamo al caldo, ci sentivamo al sicuro ma il timore di essere scoperti non ci abbandonava mai». La vita di quei giorni era scandita da piccole routine quotidiane. «Passavo il mio tempo a guardare i pesci rossi e le tartarughe che si trovavano all’interno della fontana – ricorda -. Mio padre andava spesso sulla terrazza dell’ospedale, dove accendeva un fuoco per scaldare il brodo. Io ero diventato l’ombra di Fra Maurizio Bialek: dove lui andava, c’ero anche io».

Nonostante la sensazione di sicurezza provata, il timore di un’irruzione era sempre presente. «Quando s’iniziò a parlare di un possibile controllo da parte dell’esercito nazista, la mia famiglia scappò di nuovo. Non potevano nasconderci tutti e trovammo ospitalità nella portineria di uno stabile in piazza Costaguti». I ricordi che Gabriele Sonnino ha di quel breve periodo vissuto al Fatebenefratelli sono «custoditi nel cuore e sono pieni di gratitudine, soprattutto per la figura di fra Maurizio Bialek». Il religioso, durante la dominazione tedesca, non solo nascose gli ebrei ma concesse il libero uso dell’ospedale per le riunioni del comando militare clandestino e per l’installazione di apparecchi radio-telegrafici. Per il suo esempio è stato insignito della Medaglia al Valore militare.

Il 21 giugno 2016 la Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg ha donato all’ospedale il titolo di “Casa di Vita”, proprio per ricordare il contributo dato nel salvare decine di ebrei dall’occupazione nazista. «Io continuo a raccontare la mia storia – conclude Sonnino -. Vado nelle scuole, parlo con i ragazzi. Raccontare di chi ci ha salvato è l’unico modo che ho per ringraziare».

25 febbraio 2019