I cristiani, chiamati a convertirsi «all’audacia dell’amore»

Nella parrocchia di Gesù di Nazareth la veglia ecumenica con De Donatis, nella Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Il ricordo di don Andrea Santoro. Le offerte per il progetto dei corridoi umanitari

Veglia ecumenica, parrocchia Gesù di Nazareth, De Donatis, 22 gennaio 2020«Aiutiamoci ad ascoltare insieme il grido di chi chiede salvezza, di chi chiede guarigione e anche giungendo da lontano vorrebbe sentire Roma come la sua terra. Aiutiamoci ad ascoltare la domanda di incontro con il Signore e viviamo nel contagio reciproco di una speranza operosa e attiva». È l’invito rivolto dal cardinale vicario Angelo De Donatis che ieri sera, 22 gennaio, ha presieduto la veglia ecumenica diocesana nella parrocchia di Gesù di Nazareth, nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che quest’anno ha come tema “Ci trattarono con gentilezza”, versetto tratto dagli Atti degli Apostoli. Il brano in cui è narrato l’ultimo viaggio di san Paolo verso Roma, con la paura dell’equipaggio sorpreso dalla tempesta a largo di Creta, per il porporato «ci rende contemporanei» all’Apostolo delle genti. Il terrore provato all’epoca dai passeggeri è «lo stesso che è dolorosamente testimoniato dalle migliaia di vite innocenti perse nel Mediterraneo, davanti alle nostre coste, davanti a Lampedusa o alle isole greche o alle coste spagnole».

Il primo atto della veglia, alla quale hanno partecipato i rappresentanti e i fedeli delle comunità cristiane anche non cattoliche presenti a Roma – ortodossi, anglicani, armeni, luterani, valdesi e appartenenti alle antiche Chiese orientali – si è svolto nella cappella della Riconciliazione, dove il cardinale ha svelato la teca preparata per accogliere la Bibbia di don Andrea Santoro, il primo parroco nel quartiere Verderocca, fondatore del complesso parrocchiale di Gesù di Nazareth, che ha guidato per 12 anni. Il sacerdote romano fidei donum fu ucciso a Trebisonda, in Turchia, il 5 febbraio 2006, colpito da due colpi di pistola, uno dei quali trafisse la Bibbia in turco che aveva in mano. Aperto al Libro dei Salmi – dal 22 al 24 -, il sacro testo rimarrà definitivamente esposto nella cappella voluta da don Santoro.

Veglia ecumenica, parrocchia Gesù di Nazareth, bibbia don santoro, 22 gennaio 2020

Don Andrea è «morto martire», ha detto il cardinale vicario che dal 2007 è assistente spirituale dell’Associazione don Andrea Santoro, e ha lasciato la «traccia indelebile di un prete romano generoso e appassionato, animato dall’inquietudine dell’incontro con l’altro, divenuto prossimo grazie al Vangelo in cui ha creduto sino all’effusione del sangue». In Anatolia ha lavorato incessantemente «per ricomporre le fratture e offrire una testimonianza umile e tenace di riconciliazione in una terra a maggioranza islamica. Con empatia ha amato con la stessa intensità le sorelle e i fratelli delle altre Chiese con cui ha intrecciato rapporti di fraternità», ha aggiunto pensando alla Chiesa silo ortodossa locale, alle donne georgiane ortodosse o armene. Durante il suo ministero sacerdotale in Turchia, «ha amato tutti mostrando il volto umile e luminoso di Gesù» ed è stato capace di accogliere ogni uomo «al di là di qualsiasi barriera». De Donatis ha quindi espresso gratitudine nei confronti dei rappresentanti delle altre Chiese cristiane che a Roma testimoniano «l’amore per Cristo umanizzando i quartieri e dando speranza. Questo nostro tempo ha bisogno più di ieri della nostra conversione all’audacia dell’amore e della testimonianza di unità».

Le offerte raccolte durante la veglia di preghiera saranno devolute alle famiglie che il 31 gennaio prossimo arriveranno a Fiumicino dal Libano attraverso i Corridoi umanitari, progetto che nel 2016 ha portato in Italia Malak, 31 anni, nato a Kamishli, in Siria. Il giovane ha raccontato gli orrori della guerra e ricordato il pastore armeno don Hovsep Petoyan, ucciso con il padre nel novembre scorso. Prima della guerra «curdi, musulmani e cristiani di tutte le Chiese vivevano in pace insieme. La vita era bella in Siria prima del conflitto», ha detto. Dopo aver visto morire tante persone in seguito ai bombardamenti, nel 2014 Malak e la sua famiglia hanno deciso di lasciare la Siria. «Tutto quello che avevamo l’abbiamo venduto -– ha proseguito -. Abbiamo pagato i trafficanti per arrivare in Europa. È stato molto difficile mettere la nostra vita in mano a questa mafia, gente cattiva che non ha rispetto per le persone, soprattutto per le donne, ma restare significava comunque morire». Malak ha quindi raccontato del lungo e difficile viaggio fino a Lesbo, dove ha incontrato la Comunità di Sant’Egidio che ha portato lui e la sorella in Italia. In Siria era un avvocato e quest’anno si è iscritto all’università per far riconoscere la sua laurea. Ha un lavoro regolare e svolge volontariato.

23 gennaio 2020