La Chiesa di Roma ricorda don Andrea Santoro

Il 5 febbraio a Santa Croce in Gerusalemme la Messa per il sacerdote fidei donum ucciso a Trabzon, in Turchia, a 16 anni dal suo assassinio. La sera prima, veglia a Santi Fabiano e Venanzio, con il rettore del Seminario Maggiore Faraghini. Il 13, incontro sul cammino sinodale

A 16 anni dal suo assassinio, ancora una volta la diocesi di Roma si raccoglie in preghiera nel ricordo di don Andrea Santoro, il parroco romano fidei donum ucciso a Trabzon, in Turchia, il 5 febbraio 2006, inginocchiato nella sua chiesa. Con la Bibbia tra le mani. Nel giorno dell’anniversario, sabato prossimo, 5 febbraio, sarà il vescovo Benoni Ambarus a presiedere la Messa nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, alle 19. La sera prima, venerdì 4, sempre alle 19 è in programma una veglia di preghiera in una delle parrocchie che lo hanno avuto come parroco, Santi Fabiano e Venanzio, guidata da don Santoro dal 1994 al 2000. A presiederla, il rettore del Seminario Maggiore don Gabriele Faraghini, che ha cura dell’archivio Don Andrea Santoro, vasta raccolta dei suoi numerosi scritti privati e pastorali, conservato nel Seminario Romano. Quindi ancora un appuntamento, nell’altra parrocchia “di don Andrea”, intitolata a Gesù di Nazareth, fondata da don Santoro nel 1981: domenica 13 febbraio a partire dalle 16 si parlerà delle “Beatitudini. Vivere il cammino sinodale con l’aiuto di don Andrea”. Partecipa Miriam Fioravanti, dell’equipe sinodale diocesana.

«Tienici uniti nella nostra diversità: non così uniti da spegnere la diversità, non così diversi da soffocare l’unità». Questa la preghiera costante di don Santoro negli anni trascorsi tra la piccolissima comunità cattolica di Trabzon, l’antica Trebisonda: 15 persone, su una popolazione di circa 200mila abitanti. In Turchia dal 2000 come fidei donum, la trama che lo legava alla Terra Santa aveva iniziato a tesserla già alla fine degli anni ’70, quando aveva chiesto e ottenuto un periodo sabbatico, per cercare «una vicinanza con Dio là dove Dio aveva cercato una vicinanza con noi». Raggiunto il Medio Oriente, aveva vissuto sei mesi sulle tracce di Cristo, con prolungate soste in comunità monastiche. Classe 1945, prete dal 1970, solo nel 2000 ottiene dall’allora cardinale vicario Camillo Ruini il permesso di trascorre tre anni in Anatolia come sacerdote fidei donum. Prima di partire fonda l’associazione “Finestra per il Medioriente”, per creare un legame tra la sua diocesi di appartenenza e quella in Turchia, cui si sente inviato.

La prima destinazione è Urfa, al confine con la Siria, nel sud est del Paese, dove trascorre tre anni nella preghiera e nel silenzio. «Ho imparato a voler bene, come segno fondamentale della presenza di Cristo, a voler bene gratuitamente senza nulla aspettarmi, a voler bene ad ogni persona così come è, come è vista ed amata da Dio», racconta a proposito di quegli anni nelle sue lettere agli amici di Roma. Lo stesso stile che lo caratterizzerà anche nel trasferimento a Trabzon, nel nord del Paese. «Cerco di essere la presenza, per quanto povera e inadeguata, di Gesù. Cerco di essere, insieme a quei pochi che si riconoscono in Gesù, un piccolo virgulto di Chiesa. Cerco di essere una piccola finestra di luce», le sue parole. Creando in silenzio ponti tra popoli, culture e religioni. Una luce, la sua, che non si è spenta neanche quando, il 5 febbraio del 2006, viene ucciso a colpi di pistola mentre prega nella sua chiesa.

2 febbraio 2022