«Notte inquieta» di Goes, libro sulla guerra e sulla preghiera

Siamo di fronte a una riflessione religiosa sul senso stesso della preghiera, come domanda che reca in sé la possibile risposta e fa della propria incompiutezza il valore più prezioso

Uno dei racconti più belli che abbia mai letto, a cui spesso ritorno scoprendo sempre qualcosa di nuovo, è “Notte inquieta” dello scrittore Albrecht Goes, nato a Stoccarda nel 1908 e qui scomparso nel 2000, ristampato periodicamente nella versione di Ruth Leiser: l’ultimo editore in ordine di tempo a presentarcelo è Marcos y Marcos (pp. 112, 15 euro). Quando, pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, questo capolavoro di sintesi narrativa venne pubblicato per la prima volta, la Germania era ancora frastornata e tuttavia si stava, seppure lentamente, riprendendo dalla devastazione.

Quel centinaio di pagine subito tradotte in ogni parte del mondo, rappresentarono per molti europei una specie di rendiconto. In particolare la grande maggioranza dei tedeschi le considerò alla medesima stregua di un viatico per uscire dall’incubo nazista. E così ancora oggi noi possiamo continuare a leggerle. La storia è quella di un cappellano evangelico inquadrato nelle file della Wermacht il quale, impegnato sul fronte russo nel 1942, viene inviato ad assistere un giovane soldato condannato alla fucilazione causa diserzione. Per un altro ufficiale, chissà, forse sarebbe stata una semplice mansione di routine. Non così per l’uomo posto da Goes al centro dell’opera.

L’indimenticabile personaggio studia il dossier del giovane da accompagnare alla stazione finale e resta commosso dalla sua voglia di vivere, dal suo entusiasmo spezzato e dalla sua storia d’amore con una ragazza ucraina, Ljuba, che aveva perso il marito in uno scontro bellico e poi era sopravvissuta da sola con il figlio piccolo. Quando l’ufficiale consegna al patibolo il ragazzo in catene, che forse non a caso si chiama Fedor, lo stesso nome del grande scrittore che, a differenza sua, all’ultimo momento scampò alla fucilazione, è come se qualcosa si spezzasse dentro di lui.

“Notte inquieta” non è soltanto un libro di guerra. Siamo di fronte a una riflessione religiosa sul senso stesso della preghiera, come domanda che reca in sé la possibile risposta e fa della propria incompiutezza il valore più prezioso. Il protagonista è un uomo colto che durante le passeggiate compiute nei momenti di pausa nella campagna circostante, significativamente poste all’inizio e al termine del testo, sente nel paesaggio intorno a sé tutta la forza del romanzo russo. Quelli che Hitler considera nemici da abbattere per Goes sono maestri, padri spirituali, amici coi quali confidarsi.

Nelle lunghe ore che precedono l’esecuzione del condannato, il cappellano ospita nella sua piccola stanza perfino un pilota d’aereo in partenza per Stalingrado, il capitano Brentano, il quale trascorre con la sua fidanzata, Melania, quella che anche per lui potrebbe essere l’ultima notte. L’intreccio tra la forza del sentimento amoroso e l’imminenza di un destino fatale, non potrebbe essere più intenso: Fedor, Ljuba, Brentano e Melania non si conoscono ma sfilano senza rendersene conto sotto gli occhi appassionati ma impotenti del cappellano, in una giostra spettrale e drammatica di poche ore consumata fra vita e morte, speranza e rassegnazione, senza che lui possa intercedere in loro favore. L’unica azione auspicabile è dargli la benedizione. Il pastore sa che nessuno potrà mai da solo fermare la guerra, eppure non rinuncia alla speranza di poter almeno cambiare una persona. Non tutti insieme, questo no. Uno per uno.

 

30 luglio 2018