Quando la scuola, fuori dall’aula, sa essere leva di vita

L’importanza delle domande degli studenti, durante un confronto in carcere, nel cammino di rinascita di un rapinatore seriale con diverse condanne alle spalle

In questi giorni ho ascoltato un podcast che consiglio a chiunque, Io ero il milanese, curato dal bravissimo Mauro Pescio, disponibile gratuitamente nel contenitore RaiPlaySound. Si tratta del racconto della vita criminale, fatto in prima persona, di Lorenzo S., oggi quarantaseienne che vive e lavora a Padova. Nato a Milano, dove trascorre la prima infanzia mentre il padre è detenuto, si trasferisce a Catania e lì, giovanissimo, decide anche lui di diventare – come dice più volte – “bandito”’, ossia rapinatore seriale e protagonista di una serie di atti criminosi e di eccessi senza fine che lo portano, dopo varie reclusioni ed evasioni, a un cumulo di pene di oltre cinquant’anni di galera e che all’età di trentacinque anni lo condanneranno a un ergastolo di fatto.

Il racconto, al di là della vita criminale come una caduta senza fine, è dunque anche la narrazione degli andirivieni dal carcere e dell’apprendistato della vita carceraria, degli stratagemmi per ottenere concessioni, della fraternità ma anche dell’odio che nasce dalla coesistenza forzata, degli abissi dietro le sbarre che tutta la società continua a rimuovere, ma anche dei miracoli laici che avvengono in quella terra di nessuno grazie a esperienze illuminate, come nel caso della redazione della rivista carceraria “Ristretti Orizzonti”, che Lorenzo S. inizia infine a frequentare nel carcere di Padova dopo avere toccato il fondo e nella quale si accenderà il lumicino flebile ma poi sempre più forte della rinascita.

Ma nelle parole e nella viva voce di Lorenzo S., nelle domande sempre congruenti e necessarie di Mauro Pescio, non c’è mai un racconto letterario di caduta e redenzione – ché di racconto non si tratta, si tratta di vita – quanto tutta la complessità di una esistenza reale, contraddittoria, di una realtà dove i conti non tornano mai, quella del carcere, di un corpo a corpo con l’idea di giustizia che anzitutto mette sotto processo chi ascolta sul senso dei percorsi individuali, sull’idea di “riparazione”, sulla possibilità della speranza. E tutto questo è giusto che risuoni personalmente nei pensieri di chi ascolterà.

Ciò che mi preme invece segnalare in questo spazio, nel quale ci occupiamo di adolescenti, è quanto avviene più o meno a metà del percorso di Lorenzo S., nel momento forse più drammatico, quando quel fondo toccato pare infine essere divenuto il pozzo dove archiviare definitivamente la propria irrimediabile sconfitta. A un certo punto Lorenzo S. racconta di come, per la rivista, si trovi a partecipare a un confronto in carcere con alcune classi aderenti a un progetto. Le domande di alcuni studenti avranno un peso determinante, nel momento peggiore, per l’avvio insperato della raccolta di quei “disastri” – come dice Lorenzo S. – nei quali si era polverizzata la propria esistenza e che in modo del tutto inaspettato poi, lentamente, avrebbe ricominciato a ricostruirsi degna. Basterebbe l’intensità di quel momento, il peso di quelle domande, per dire tutto il senso e il valore di questa storia che è un memoriale, e nella quale la scuola, fuori dalle sue aule, ha saputo essere leva di vita.

12 ottobre 2022