Stefano Russo: «Fare emergere tanti “nuovi europei” dalla condizione di invisibili»

Il segretario generale della Cei ha presieduto la veglia ecumenica "Morire di speranza". 40.900 i morti dal 1990 a oggi, nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa. Impagliazzo (Sant'Egidio): «Tenere gli occhi bene aperti sull'Africa, che rischia una nuova grande crisi»

L’emergenza sanitaria e la conseguente crisi socio economica globale non devono distogliere l’attenzione da «chi è costretto nei campi profughi sovraffollati, da chi non vede alcuna via di uscita». La pandemia non deve far dimenticare quei «luoghi di dolore dove, più di prima, mancano cibo, vestiti, tende, cure sanitarie». Questa può anche essere «l’occasione propizia per fare emergere tanti uomini e donne, “nuovi europei”, dalla condizione di invisibili, valorizzando il loro lavoro e la loro presenza, preziosa per l’Italia e per loro stessi». È l’appello lanciato dal segretario generale della Cei Stefano Russo, che ieri sera, 18 giugno, nella basilica di Santa Maria in Trastevere ha presieduto la veglia “Morire di Speranza” organizzata in vista della Giornata mondiale del rifugiato del 20 giugno dalla Comunità di Sant’Egidio con numerose associazioni impegnate nell’accoglienza e nell’integrazione delle persone fuggite da guerre o da situazioni insostenibili nei loro Paesi.

La croce realizzata con le assi dei barconi sbarcati a Lampedusa, veglia "morire di speranza", 18 giugno 2020
La croce realizzata con le assi dei barconi sbarcati a Lampedusa

 

Per molti di loro, il viaggio si è drammaticamente interrotto in mare. 40.900 i morti dal 1990 a oggi, nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa. 2.398 i profughi deceduti solo nell’ultimo anno mentre cercavano un futuro migliore. Tra loro anche la bimba di pochi mesi il cui corpo è stato ritrovato il 16 giugno al largo della spiaggia di Sorman, in Libia. Le loro storie sono state ricordate da don Marco Gnavi e don Francesco Tedeschi – rispettivamente parroco e vicario di Santa Maria in Trastevere – mentre candele accese venivano poste da migranti sotto all’altare sul quale era stata collocata una grande croce azzurra realizzata con le assi dei barconi sbarcati a Lampedusa.

veglia "morire di speranza", rifugiati, sant'egidio, Stefano RussoDurante la preghiera ecumenica, alla presenza di rappresentanti di altre confessioni cristiane, il presule ha ricordato che il lockdown che ha messo in ginocchio intere nazioni nei campi libanesi «inasprisce condizioni già invivibili, con uomini, donne e bambini impossibilitati al distanziamento fisico e senza accesso all’acqua per lavarsi, con il terrore di essere sterminati dal coronavirus». Il pensiero di monsignor Russo è andato ai Rohingya, a coloro che si trovano nel campo di Moira a Lesbo, a chi si accalca alle frontiere europee, ai migranti a Tapachula, di fronte al confine con il Messico. Nella sua meditazione non sono stati dimenticati «i badanti, le colf, gli immigrati e le rifugiate che si sono presi cura degli anziani impedendo che fossero abbandonati alla solitudine e preda del contagio negli istituti. Sono stati tanti quelli che hanno avuto compassione e hanno portato il loro contributo per sfamare chi era senza casa».

veglia "morire di speranza", rifugiati, sant'egidio, 18 giugno 2020

Il vescovo Daniele Libanori, ausiliare per il settore Centro, portando il saluto del cardinale vicario Angelo De Donatis, ha rimarcato che le morti in mare rappresentano «il dramma che lacera le coscienze della nostra generazione». La diocesi di Roma «riflette come in uno specchio tanta parte delle attese di bene e di pace scritte troppo dolorosamente nella carne dei rifugiati, specie in questo periodo».

veglia "morire di speranza", rifugiati, sant'egidio, 18 giugno 2020Tra i partecipanti alla veglia il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi, il direttore generale della Fondazione Migrantes don Gianni De Robertis e quello di Migrantes Roma don Pierpaolo Felicolo, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio e padre Gabriele Beltrami per i missionari Scalabriniani. Per il presidente della Comunità trasteverina Marco Impagliazzo questo è il momento di tenere «gli occhi bene aperti sull’Africa». Il continente a causa della pandemia da coronavirus «rischia di entrare in una nuova grande crisi economica e sociale che potrebbe avere ricadute importanti nei prossimi anni anche come ondata migratoria». Questo è anche il tempo per lavorare con più tenacia «per la pace, per impedire nuove tragedie in mare». A tal proposito padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ha rimarcato che «non bisogna mai dimenticare le cause che spingono queste persone a lasciare tutto e ad affrontare viaggi estenuanti. Se dimentichiamo le migliaia di persone morte nel Mediterraneo, dimentichiamo parte di noi stessi».

19 giugno 2020