Tra Dio e Mosè l’amore che salva
Nel loro rapporto esclusivo, la testimonianza che ogni amore o è transitivo, capace di inondare il mondo, o si riduce, presto, a marcire nel chiuso del vano possesso
Forse non tutti sanno che la Bibbia è scritta, in moltissime pagine, con la penna degli innamorati. Oggi per via delle infinite potenzialità dei cellulari gli innamorati non comunicano più sul cartaceo ma affidano i loro sospiri alle onde remote del virtuale. Il contenuto, però, resta lo stesso e si tratta per lo più di desideri d’amore, di vicinanza, di perdono, di tornare insieme dopo un dissidio.
Il capitolo trentatreesimo del libro dell’Esodo è un esempio perfetto dello scambio verbale mediato e immediato tra due che sono legati da un profondo rapporto d’amore. Ma c’è un elemento in più: l’uno e l’altro portano nel cuore il volto, il corpo, la pena di un terzo, di una “creatura” con cui tutti e due sono totalmente coinvolti. Si tratta di Dio e di Mosè, ambedue preoccupati per la sorte di Israele. Tale è l’affetto di Dio per il suo popolo, per quella creatura appena nata che Gli si è già dimostrata ribelle, che, pur tentato di abbandonarla al suo idolo d’oro, continua a starle vicino. Tale è l’affetto di Mosè per i suoi fratelli ebrei che, nonostante fossero un grumo di umanità acerba, ingrata e inaffidabile, sarebbe pronto a morire pur di custodirne la vita.
Ed ecco il “carteggio” fittissimo tra Mosè e il Signore, il continuo tornare di Mosè nella tenda di Dio per convincerlo a riprendere il Suo ruolo di guida per quei poveri, incoscienti pellegrini: «Se il tuo volto non camminerà con noi, non farci salire di qui» (v.15). E per sedurre Dio alla sua supplica, Mosè usa sé stesso come una malcelata arma di ricatto: «Eppure hai detto: ti ho conosciuto per nome, anzi hai trovato grazia ai miei occhi» (v.12); si comporta come una fidanzata che sa di quale amore sicuro, indiscutibile, Egli la ricambi e allora tesse amorosi inganni per costringerLo a venire allo scoperto e cedere all’esca del suo desiderio. Mosè vuole che gli Israeliti continuino a salire verso il Paese promesso della libertà, che trovino il modo per abbattere le mura insidiose della sete e delle steppe e non cadano, invece, sotto i colpi della fame e della paura. Ma non potranno mai farlo se il Signore non camminerà con loro, se non gli indicherà la via dove battere il passo e non li farà riposare, alla fine di ogni giorno, nel palmo della Sua tenerezza e della Sua pietà.
«Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico» (v.11). Un rapporto davvero esclusivo nella sua intensità e nella sua natura come lo sono tutti i rapporti tra gli innamorati. Ma la ricchezza di questo grande amore sta nel fatto che non è solo un gioco di coppia, un circuito chiuso, la cui fecondità torna a beneficio privato ma un sacramento fonte di grazia per tutti. Quando Mosè parla col suo Dio raramente lo fa presentandosi come un individuo, come una persona singola, ma è così che si esprime: «Come si saprà che ho trovato grazia ai tuoi occhi, io e il tuo popolo, se non nel fatto che tu cammini con noi?» (v.16). Un grande esempio e un grande insegnamento: che ogni amore o è transitivo, capace di inondare e di salvare il mondo, o si riduce, presto, a marcire nel chiuso del vano possesso.
20 luglio 2020