Attacco terrorista in Costa d’Avorio. «Non stabilire legami diretti con l’Islam»

Parla il presidente della Conferenza episcopale ivoriana Touabli: «Sono certo che anche i nostri fratelli musulmani condannano ciò che è successo»

 

«Come cittadini ivoriani, noi cattolici siamo sotto choc, insieme al resto del Paese, per la barbarie che si è consumata ieri a Grand Bassam, ma siamo uomini di fede e sappiamo che anche nel dolore più grande bisogna mantenere la speranza: Dio non permetterà mai che il male prevalga». Il presidente della Conferenza episcopale ivoriana Alexis Touabli, vescovo di Agboville, commenta così l’attentato rivendicato da Al Qaeda che domenica 13 marzo ha colpito un resort nel Maghreb islamico, provocando 16 vittime, tra cui 14 civili. Il presule mette in guardia dalla tentazione di stabilire legami diretti tra questa «azione barbara» e l’Islma. «Il male – dichiara – esiste ovunque e sono certo che anche i nostri fratelli musulmani condannano ciò che è successo». Nei prossimi giorni, preannuncia poi, «ci riuniremo con gli altri leader religiosi per decidere il da farsi; ma anche senza essere fisicamente nello stesso luogo, possiamo già compiere l’azione comune più importante, che è la preghiera, la forza di tutti coloro che credono in Dio: senza distinzione di fede, dobbiamo chiedere che mai più accadano cose simili in questo Paese».

Presente in Costa d’Avorio come coordiantore della Communauté Abel, progetto dell’associazione cattolica Gruppo Abele a Grand Bassam, anche l’italiano Leone De vita. «Ero sulla spiaggia, ma ho avuto la fortuna di essere dalla parte opposta rispetto a dove è avvenuta la sparatoria – racconta -; la spiaggia come ogni weekend era molto affollata: con gli operatori della comunità avevamo pensato di portare anche i nostri studenti, in gita, e solo all’ultimo momento abbiamo rinunciato». Nonostante tutto quello che si è detto sul radicalismo islamico nella regione, riferisce, «in Costa d’Avorio c’è stata finora una collaborazione tra le diverse confessioni: ora sarà importante anche capire se gli attentatori erano del posto o arrivavano da fuori». Intanto polizia ed esercito presidiano ancora lazona della città dove si trovano gli alberghi colpiti, sul mare. «Noi – annuncia De Vita – continuiamo il nostro lavoro». Nel Paese africano infatti il Gruppo Abele si occupa, tra le altre cose, di formazione scolastica e professionale, per ragazzi sia cristiani che musulmani. «In questo momento – spiega il coordinatore – è la nostra maniera di creare un ponte tra le comunità».

Esclude la possibilità di un rischio di emulazione il sacerdote francese Alain Derbier, della Società delle Missioni Africane, parroco a Ouaninou, nel nord Ovest della Costa d’Avorio, nei pressi del confine guineano. «Dell’attacco – spiega – abbiamo saputo dai media ma la situazione continua ad essere tranquilla, non ci sono tensioni particolari nella comunità musulmana per via dell’azione dei jihadisti». Nella regione dove vive il missionario, l’Islam è la religione maggioritaria, ma il religioso non teme che l’azione di Al Qaeda a Grand Bassam possa scatenare un effetto di emulazione. «La questione potrebbe essere diversa ai confini con il Burkina Faso e il Mali, ma qui non si sentono questi discorsi e chi arriva dall’estero o da altre parti della Costa d’Avorio non ha paura – racconta -. Nei nostri confronti non c’è ostilità, semmai indifferenza. Chiunque non venga da questa regione è considerato uno straniero, ma si vive comunque gli uni al fianco degli altri». Le divisioni che esistono, secondo padre Derbier, sono un’eredità della stagione delle guerre civili, conclusa nel 2011, ma neanche da questo punto di vista, secondo il missionario, esistono rischi imminenti di violenze. «Non credo che la popolazione farà un collegamento tra il terrorismo e i problemi politici interni – dice -. Nessuno per ora ha cercato di approfittare dell’accaduto».
14 marzo 2016