Don Asolan: «A Roma parrocchie stanche e con pochi giovani»

Il sacerdote ha sintetizzato a Papa Francesco i risultati del cammino compiuto durante la Quaresima dalle comunità di Roma: «eccessivo numero di iniziative pastorali, non organicamente pensate, molto frammentate»

Crisi identitaria, un «approccio semplicistico alla complessità nella quale siamo immersi», la parrocchia che «diventa un’azienda di servizi» moltiplicando le attività «senza una corrispondente crescita spirituale». E ancora, questo «chiudersi o limitarsi alle attività provoca stanchezza e aridità», riducendo il parroco «a manager, mero esecutore di piani pastorali». Don Paolo Asolan, professore al Pontificio Istituto pastorale “Redemptoris Hominis” della Pontificia Università Lateranense, ha presentato così al Papa, lunedì 14 maggio, alcune delle malattie spirituali della Chiesa di Roma. A San Giovanni, la prima parte dell’incontro tra Francesco e la sua diocesi si è aperto con una sintesi del cammino compiuto durante la quaresima dalle parrocchie.

La riflessione è stata incentrata, dietro richiesta del vicario Angelo De Donatis, su alcune malattie spirituali che il Papa elenca nell’Evangelii Gaudium: l’economia dell’esclusione, l’accidia egoista, l’individualismo comodo, la guerra tra noi, il pessimismo sterile, la mondanità spirituale. La «crescita a dismisura del soggetto», per cui «stentiamo a vivere come persone in relazione», l’altra malattia citata da Asolan, che ha fatto presente come nelle parrocchie capita di trovare un «eccessivo senso di appartenenza alla propria comunità» che, tra le sue conseguenze, produce «una mancanza di comunione preoccupante».

Delineando una sintesi delle relazioni pervenute dalle prefetture, don Asolan ha sottolineato come nella diocesi di Roma ci sia un «eccessivo numero di iniziative pastorali, non organicamente pensate, molto frammentate», grazie alle quali si passa «da un incontro all’altro, da una proposta all’altra senza esserne coinvolti». C’è poi «il problema della schiavitù del tempo vissuto come tiranno, che non consente altro che una vita alienata», resa più complessa anche dall’immersione nei nuovi media, «che rendono annuncio verbale del Vangelo e la relazione faccia a faccia qualcosa di non più scontato». La formazione in diocesi, ha detto inoltre Asolan, è spesso pensata «come ripetizione della propria esperienza, magari consegnata ai più giovani tale e quale come la si era vissuta, senza conoscenza dei bisogni e del contesto».

Si sente «l’esigenza di obiettivi comuni,
che ci facciano camminare insieme – ha specificato il sacerdote -. Manca una prospettiva diocesana che faccia unità. Questo servizio dovrebbe porsi in termini sussidiari e non sostituivi o concorrenziali con le attività e i servizi che già svolgono le parrocchie». Ancora, tra le cose che mancano: «un ricambio di responsabili delle attività; i poveri come parte della comunità e non solo come destinatari dei servizi caritativi; mancano i rapporti con l’Amministrazione circa i problemi cittadini che ci si trova a dover affrontare». Siamo un popolo – ha concluso Asolan – e «invece ci comportiamo come un club privato».

15 maggio 2018