La via del dialogo, per evitare il dissolvimento dell’Europa

All’Università Europea di Roma la lectio magistralis del cardinale Gianfranco Ravasi. «Superare la tentazione del duello, a vantaggio del duetto»

All’Università Europea di Roma la lectio magistralis del cardinale Gianfranco Ravasi. «Superare la tentazione del duello, a vantaggio del duetto»

«Contro ogni estremismo spirituale e culturale». È stato inaugurato così l’anno accademico dell’Università Europea di Roma, attraverso le parole del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, che martedì 16 febbraio ha tenuto di fronte agli studenti e ai docenti la lectio magistralis sul tema “L’Europa e la sfida dell’integrazione: cultura, conoscenza e solidarietà”. L’Università quest’anno compie 10 anni, un traguardo che il rettore padre Luca Gallizia ha voluto celebrare riprendendo San Benedetto, patrono dell’università e dell’Europa, e il suo Ora et Labora: «La contemplazione quando è autentica non porta mai a chiudersi in se stessi ma è accompagnata da un’azione che diventa, adesso sì, efficace e incisiva». E proprio questa necessità di non chiudersi è stata il filo rosso della mattinata.

Il cardinale Ravasi ha posto l’accento sulle radici cristiane dell’Europa, fulcro non di chiusura ma di una nuova solidarietà: «La dimostrazione di come questa nostra odierna riflessione sia opportuna per comprendere non apologeticamente, non solo teologicamente, ma anche culturalmente la nostra identità – ha sottolineato – ci giunge da una battuta folgorante di Goëthe: “La lingua materna dell’Europa è il cristianesimo”». Solo su queste basi, ha proseguito il porporato, «è possibile costruire il dialogo. L’Europa deve riscoprire tutta la nobiltà del logos, ossia della ragione, che diventa diálogos, dialogo, incontro, comunicazione. Quindi vanno combattuti il sincretismo, il relativismo, il soggettivismo che spengono e dissolvono l’identità cristiana propria della civiltà europea», per salvaguardare il confronto. «Per dirla in una sola battuta – le parole del cardinale -: non dobbiamo mai rinunciare alla nostra identità, senza rigettare però la diversità. Non dobbiamo rinunciare a noi stessi, ma dobbiamo anche riconoscere la grandezza dell’altro».

Ravasi è consapevole delle difficoltà: «È senz’altro un’impresa ardua: il dialogo è molto più difficile del monologo. Occorre superare la tentazione del duello, che è purtroppo una scelta ricorrente anche a livello sociale, politico e culturale», ma, ha continuato, non è la strada giusta: «Bisogna scegliere piuttosto la via del duetto, come avviene in musica dove un soprano, voce dal registro alto, può stare in armonia persino col basso, voce antitetica, non perché il soprano abbassi il timbro e il basso adotti il falsetto, ma perché ogni voce conserva la propria identità, riuscendo però a creare, con l’incrocio, armonia» nella piena fiducia che esistano sempre «punti di contatto».

Un «appello», dunque, si è alzato dall’ateneo affinché «L’Europa – ha continuato il presidente del dicastero vaticano dedicato alla cultura – non si disperda e si dissolva, come accade ai mosaici, quando si staccano le tessere che li compongono e diventano alla fine solo mucchi confusi di colore». In un certo modo, ha proseguito, è già successo: «È ciò che purtroppo vediamo spesso accadere ai nostri giorni che hanno privilegiato la pur legittima dimensione economica fino a renderla fin quasi esclusiva». Il cardinale ha concluso con un ammonimento: «Se il cristianesimo dalla nostra Europa se ne va, se ne va tutta la nostra cultura, se ne va il nostro stesso volto».

Umberto Roberto, coordinatore del corso di laurea magistrale in Scienze della formazione primaria dell’Università Europea di Roma e professore di Storia romana, ha poi sottolineato ancora una volta l’importanza della cultura, che sola può «favorire negli anni la trasformazione della nostra società in un luogo accogliente e favorevole al dialogo». La storia, ha spiegato, dà esempi illuminanti: «Non dimentichiamolo: i Romani attribuivano l’origine della loro storia a un profugo, Enea».

17 febbraio 2016