Emergenza adolescenti, il dopo-lockdown è drammatico

Casi di autolesionismo e disturbi alimentari, incidenza triplicata. Serve grande sforzo degli adulti: l’impegno a mettere al primo posto la sofferenza dei figli

La pandemia di coronavirus purtroppo sta lasciando una sequela di eventi patologici dovuti non soltanto all’evento infettivo, con i diversi quadri correlati alle differenti incidenze della malattia, ma ancor più nel campo delle patologie neuropsichiatriche, laddove si osserva una trasversale destabilizzazione dell’equilibrio psicologico sul piano individuale, familiare e sociale. È esperienza di tutti i servizi di neuropsichiatria infantile la presa in carico di ragazze dimesse dai reparti di degenza ospedaliera per disturbi del comportamento alimentare o per problematiche di autolesionismo o, ancor peggio, per ideazione suicidaria. Dalla scorsa estate nel servizio a me assegnato ciò si verifica con una frequenza di uno-due casi al mese, cioè con un’incidenza quasi triplicata rispetto all’epoca pre-Covid.

C’è spesso una grave difficoltà a riconoscere la propria immagine, ad accettare quelli che vengono percepiti come i propri limiti, i propri difetti, le proprie imperfezioni in un corpo che si sta modificando rispetto all’epoca infantile. I genitori sono in genere spiazzati di fronte alla crisi adolescenziale, sembrano disorientati, chiedono aiuto alle strutture, che si trovano in difficoltà per la sproporzione della richiesta rispetto alla limitatezza dell’offerta, sia in termini di recettività sia per gli spazi terapeutici. Gli ospedali con reparti per l’età evolutiva già da tempo hanno lanciato l’allarme, poiché si trovano in grave sofferenza, non essendo preparati a una simile emergenza per le patologie neuropsichiatriche, ma allo stato attuale nulla sembra cambiato nell’ambito dei servizi. Quelli specialistici territoriali, afferenti alle Asl, in genere possono dare un primo appuntamento solo dopo circa sei mesi dal momento della richiesta, e ciò determina un senso di disorientamento in genitori severamente provati dalla gravità delle manifestazioni sintomatiche vissute dai figli e, più spesso, dalle figlie. Dietro alla crisi si ritrovano vissuti davvero profondi, che a volte si sono ipertrofizzati in modo subdolo, inapparente, fino a diventare patologici.

Il conflitto con l’immagine di sé è spesso alimentato dal comportamento emarginante dei coetanei, che non infrequentemente attuano vere e proprie strategie di bullismo, sia direttamente sia attraverso i social. I soggetti più fragili stentano a trovare il sostegno necessario, anche perché soffrono del mancato riconoscimento da parte del gruppo, non riuscendo ad affermare la propria personalità. Si struttura, sovente, un problema di identità di genere, che viene come confermata dalla condizione di emarginazione in cui scivola chi viene soggetto a mobbing sistematico. A questo punto c’è chi si difende proprio facendosi scudo della propria diversità, ma se non c’è un vero sostegno psicologico si va avanti come vasi di terracotta tra vasi di ferro.

La glorificazione di modelli corporei femminili costruiti nel mondo dello spettacolo, della moda, della pubblicità, in potente espansione attraverso i social (vedi blogger, influencer, youtuber) diventa un fattore di rischio per la strutturazione di una anomala percezione del rapporto con il proprio corpo. E in questo i genitori si trovano certamente spiazzati, perché faticano a decodificare messaggi la cui rilevanza negli attuali sistemi di comunicazione è fondamentale, senza riuscire a potersi inserire in codesti sistemi per ottenere un feedback comprensibile. Il livello di “sorveglianza” e di apertura in ambito familiare dev’essere davvero alto per poter intercettare i primi segnali di un malessere che prelude ad una strutturazione patologica e richiede una pronta attivazione per fornire un appropriato intervento psicologico.

Chiunque a questo punto potrebbe sollevare il problema della fragilità dei nostri nuclei familiari: quali competenze genitoriali ci si può aspettare da coppie in crisi? E ancor di più: quanto influisce la mancanza di complicità fra i genitori nella patogenesi del male di vivere dei figli? Per quanto difficile possa sembrare, si richiede un grande possibile sforzo agli adulti: mettere al primo posto la sofferenza dei figli per poterli aiutare ad essere adulti capaci e responsabili. Per i servizi sanitari è necessario un profondo ripensamento, perché agli specialisti si richiede di avere un know-how adeguato agli attuali modelli di comunicazione, affinché l’interlocutore abbia la piena percezione che il proprio disagio sia stato pienamente compreso e accolto, primo passaggio per iniziare un percorso terapeutico. (Roberto Rossi, neuropsichiatra infantile)

29 ottobre 2021