Roma al voto per l’Atac

11 novembre seggi aperti per la consultazione sulla messa a gara del trasporto pubblico gestito dalla municipalizzata. Comitato per il sì: rompere nodo che viene al pettine. Sostenitori del no: azienda spolpata da mala politica

Domenica 11 novembre seggi elettorali aperti a Roma. Dalle 8 alle 20 i romani sono chiamati alle urne per decidere, attraverso un referendum consultivo, il futuro del trasporto pubblico della Capitale. Favorevoli o contrari alla messa in gara del trasporto oggi gestito dalla municipalizzata comunale Atac, che dal 27 luglio scorso è stata ammessa alla procedura di concordato preventivo? Questo il quesito della consultazione promosso dai Radicali italiani e di Roma. Due le schede di colore diverso che saranno consegnate agli elettori con i due quesiti. Nel primo dovranno decidere se affidare «tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e su rotaia mediante gare pubbliche, anche a una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e la ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio». Attraverso la seconda scheda dovranno invece esprimere il proprio parere favorevole o contrario sulla possibilità che «Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza».

Trattandosi di un referendum consultivo, l’amministrazione comunale non è tenuta a seguire l’esito del voto ma nel caso in cui dovesse vincere il fronte dei “sì” dovrebbe tenere presenti le richieste avanzate dai cittadini per aprire un dibattito sulla messa a gara dei servizi di trasporto della Capitale. Oltre che dai Radicali italiani, il Comitato per il Sì è composto dalla lista +Europa, dall’associazione politica Movimenta e dall’Aduc, l’associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori. A favore del sì, è notizia delle ultime ore, anche Pd e Fi. Francesco Mingiardi, presidente del comitato promotore del referendum, invita i romani a votare sì perché «si vuole rompere un nodo che viene al pettine del trasporto pubblico locale. Atac è una società usata dalla politica per le clientele e garantirsi un bacino elettorale. La politica che governa si deve occupare del servizio Atac mentre della società si deve occupare il management della stessa». Mingiardi lamenta il fatto che i romani chiamati alle urne, pari a due milioni e trecento mila elettori, non sono «di fatto informati del referendum e questo rappresenta già una lesione dei diritti civici dei cittadini».

Sul fronte quorum, «non sono esclusi ricorsi al Tar» dopo la tornata elettorale. Fino al 31 gennaio scorso, infatti, lo statuto di Roma Capitale prevedeva il raggiungimento di un quorum fissato al 33,3 per cento degli aventi diritto al voto. Da quella data il Campidoglio ha modificato il testo togliendo la soglia del quorum. Il 31 gennaio è lo stesso giorno in cui è stato proclamato il referendum. Secondo quanto afferma l’amministrazione capitolina, per il referendum di domenica sarà applicato il vecchio statuto, ed è quindi necessario il raggiungimento del quorum. Per Mingiardi deve invece essere preso in considerazione il nuovo regolamento perché «si deve tener presente la data effettiva della votazione». In merito alla notizia secondo la quale centinaia di scrutatori sarebbero dipendenti Atac, il presidente del comitato promotore giudica «grave» la scelta fatta. «Bisognava attingere dal bacino degli scrutatori di liste – aggiunge -, eliminando coloro che potessero potenzialmente portare un interesse contrario al quesito referendario. Abbiamo chiesto chiarezza alla Commissione per il referendum».

Tra i sostenitori del no, accanto al comitato Atac Bene Comune presieduto dall’urbanista Paolo Berdini, già assessore della giunta guidata dal sindaco Virginia Raggi, si sono schierati il Movimento 5 Stelle, la Lega, FdI, la sinistra fuori dal Pd e i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil. Berdini pone l’accento sul fatto che «l’azienda è stata spolpata dalla mala politica». Numeri alla mano, elenca i 600 milioni «andati in fumo» in dieci anni. «Quando l’Atac è stata riunificata nel 2008 era una società sana – spiega -. Poi sono state assunte 780 persone per le quali sono stati spesi in 10 anni circa 300 milioni di euro. Duecento sono serviti per pagare i dirigenti. Quasi cento sono stati persi con la truffa dei biglietti falsi. Per recuperare il deficit io tenterei un’azione di rivalsa contro chi ha svenduto l’azienda, senza rinunciare a risanarla. Per questo invito a votare no. La rinuncia sarebbe un messaggio negativo per le nuove generazioni». Altro passo da compiere per Berdini sarebbe quello di passare «al trasporto su ferro realizzando tante linee tranviarie che hanno costi dimezzati». Un passaggio, questo, che per l’urbanista «non possono fare i privati».

7 novembre 2018