Il Papa a Pentecoste: «Nel dna siamo figli di Dio»

Francesco ha esaminato i mali che «riscontrano la nostra condizione di orfani», tra questi «solitudine» e «analfabetismo spirituale»

Francesco ha esaminato i mali che «riscontrano la nostra condizione di orfani», tra i quali la «solitudine interiore» e «analfabetismo spirituale»

Ristabilire e consolidare la relazione con il Padre per relazionarsi con gli altri in modo nuovo e guardarsi tutti come fratelli. È l’invito di Papa Francesco che nell’omelia di Pentecoste, epifania della Chiesa, pone l’accento sul nostro status di fratelli in quanto figli dello stesso Padre: «le nostre differenze non fanno che moltiplicare la gioia e la meraviglia di appartenere a quest’unica paternità e fraternità». Non siamo orfani di Dio quindi ma suoi figli, afferma Bergoglio, aggiungendo che la missione di Gesù, culminata nel dono dello Spirito Santo, aveva questo scopo essenziale: «riallacciare la nostra relazione con il Padre rovinata dal peccato, toglierci dalla condizione di orfani e restituirci a quella di figli. Una relazione che si riattiva in noi grazie all’opera redentrice di Cristo e al dono dello Spirito Santo».

Una lunga processione di cardinali, vescovi
e sacerdoti con i paramenti rossi ha attraversato la navata della basilica di San Pietro e ha accompagnato Papa Francesco all’altare dove, domenica 15 maggio, ha presieduto la Messa. Si chiude così il ciclo pasquale e si inaugura il tempo ordinario; la vita della Chiesa edificata grazie ai diversi carismi e ministeri donati dallo Spirito Santo a tutti i battezzati. La liturgia si è aperta proprio con l’aspersione dell’acqua benedetta in ricordo del battesimo e la supplica al Signore affinchè «ci rinnovi interiormente, perché siamo sempre fedeli allo Spirito che ci è stato dato in dono».

È la Trinità a liberarci «dall’orfanezza in cui siamo caduti» afferma il Pontefice che nel dettaglio esamina i mali del nostro tempo in cui «si riscontrano diversi segni di questa nostra condizione di orfani: quella solitudine interiore che sentiamo anche in mezzo alla folla e che a volte può diventare tristezza esistenziale; quella presunta autonomia da Dio, che si accompagna ad una certa nostalgia della sua vicinanza; quel diffuso analfabetismo spirituale per cui ci ritroviamo incapaci di pregare; quella difficoltà a sentire vera e reale la vita eterna, come pienezza di comunione che germoglia qui e sboccia oltre la morte; quella fatica a riconoscere l’altro come fratello, in quanto figlio dello stesso Padre».

Ma il Papa riflette che «a tutto questo si oppone la condizione di figli, che è la nostra vocazione originaria, è ciò per cui siamo fatti, il nostro più profondo Dna, che però è stato rovinato e per essere ripristinato ha richiesto il sacrificio del Figlio Unigenito. Dall’immenso dono d’amore che è la morte di Gesù sulla croce, è scaturita per tutta l’umanità, come un’immensa cascata di grazia, l’effusione dello Spirito Santo». Durante la preghiera dei fedeli è stata invocata l’intercessione del Paraclito per i legislatori e i governanti, affinché «la sapienza che discende dall’alto li liberi dalla prigionia della mondanità e li guidi nella ricerca del vero bene di ogni persona», per le vocazioni al sacerdozio, per i cristiani in difficoltà, per i poveri e i sofferenti.

Un pensiero particolare il Papa lo rivolge a Maria e «alla sua presenza materna nel Cenacolo. La Madre di Gesù è in mezzo alla comunità dei discepoli radunata in preghiera – ha detto Francesco – è memoria vivente del Figlio e invocazione vivente dello Spirito Santo. È la Madre della Chiesa. Alla sua intercessione affidiamo in modo particolare tutti i cristiani, le famiglie e le comunità che in questo momento hanno più bisogno della forza dello Spirito Paraclito, Difensore e Consolatore, Spirito di verità, di libertà e di pace».

 

16 maggio 2016