Mattarella: «Sant’Egidio, esperienza “glocale” di convivenza civile»

Il presidente della Repubblica ha visitato la sede della Comunità nei 50 anni dalla fondazione: «Ha accompagnato il Paese lenendo ferite». Riccardi: «La missione di essere comunità in un mondo che ha paura

Il 7 febbraio 1968 un giovane studente romano riuniva alcuni compagni di scuola per meditare il Vangelo, chiedendosi come incarnare la Parola per vincere la solitudine di oltre centomila immigrati dell’Italia meridionale relegati in baracche. Decisero di vivere non più per se stessi ma per donare amore al prossimo. Nasceva così la Comunità di Sant’Egidio e quel giovane studente, Andrea Riccardi, è stato il fondatore di una realtà oggi presente in tutti i continenti. In occasione del cinquantesimo anniversario della Comunità, ieri sera, lunedì 19 febbraio, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha visitato la sede di piazza Sant’Egidio, dove ha incontrato in privato Andrea Riccardi, Marco Impagliazzo, presidente della Comunità, i giovani, i poveri, ed ex senza fissa dimora. Accolto tra gli altri da monsignor Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere, e da monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, si è intrattenuto qualche minuto con alcune donne africane vittime della tratta e con Rasha, arrivata in Italia due anni fa con i tre figli grazie al programma Corridoi umanitari. Ha stretto la mano ad alcuni disabili che animano i laboratori d’arte le cui opere sono state esposte anche alla Biennale di Venezia e si è congratulato con Giovanni Battista Minello, un 79enne che con altri coetanei insegna italiano agli stranieri nel quartiere Tiburtino.

«L’attività di Sant’Egidio è nata da un’ispirazione religiosa molto profonda – ha affermato Mattarella – ma a me, come presidente della Repubblica, interessa sottolineare che questa è stata anche un’iniziativa di pedagogia, di impegno e di convivenza civile di grande importanza. Lo è nel mondo, lo è nel nostro Paese che ha bisogno di solidarietà e di ritrovarsi come comunità, di avvertire i vincoli che tengono insieme e non quelli che separano e fanno guardare con diffidenza o con ostilità». Una realtà internazionale che porta il presidente della Repubblica a definire Sant’Egidio «glocal» perché, spiega affidandosi alla definizione fornita dall’enciclopedia Treccani, con «glocal» s’intende «l’attitudine a occuparsi contemporaneamente della dimensione locale e di quella mondiale».

Parlando del lavoro che la Comunità svolge con i meno abbienti, il presidente della Repubblica ha precisato che ci sono poveri per diverse ragioni: «Per difficoltà di sopravvivenza, per difficoltà dei mezzi per vivere, per difficoltà della malattia, per l’isolamento, per l’abbandono, per l’emarginazione sociale. Vi è una quantità di povertà diverse che vanno affrontate e questa Comunità nel corso di questi decenni ha accompagnato il nostro Paese lenendo ferite, intervenendo attivamente per sollevare quelle condizioni, per operare concretamente».

Nel suo saluto Riccardi ha precisato che la missione fondamentale di Sant’Egidio è «essere comunità in un mondo che ha paura, troppa paura. La Comunità resta legata alle sue radici che sono italiane, perché essere italiano vuol dire apertura, soprattutto vero l’altro, e non provincialismo». In questo mezzo secolo la Comunità «si è lasciata provocare dalle angosce e dalle speranze che ha incontrato cercando di rispondere con amicizia e operosità, senza rassegnazione», ha affermato Impagliazzo, ricordando le «ferite» curate e gli obiettivi raggiunti in questi 50 anni, dalle “Scuole della pace” diffuse in 73 Paesi del mondo al programma “Bravo!”, che ha permesso la registrazione anagrafica di 3.700.000 bambini e adulti in Africa strappandoli dal traffico di esseri umani e dallo sfruttamento. “Dream” è invece il programma che si occupa dei malati di Aids in Africa, dove 47 centri in 11 Paesi assistono oltre 500mila persone e 100mila bambini nati sani da madri sieropositive.

Mentre su uno schermo sullo sfondo scorrevano le diapositive più significative di questi 50 anni di storia, Impagliazzo ha parlato di pace, perché «curare e cambiare è possibile. Nessuno è condannato a soffrire per la malattia e per la guerra a causa di un destino già scritto e immodificabile. Anche la pace è possibile, sempre. Lo crediamo con forza da quando, 25 anni fa, si è firmato a Roma l’accordo generale di pace per il Mozambico, che, tra l’altro, ha fatto conoscere Sant’Egidio nel mondo». Dal 1986 Sant’Egidio diffonde lo “Spirito di Assisi” tessendo rapporti ecumenici e interreligiosi nel suo impegno per la pace. Un’altra battaglia «umanista» della Comunità è rappresentata dalla campagna contro la pena di morte: oltre 2.100 le “Città per la Vita” nel mondo. Impagliazzo ha concluso parlando dei pranzi di Natale nella basilica di Santa Maria in Trastevere con i poveri, «bussole sicure della cultura dell’umano. Dare voce a chi non ha voce è anche dire qualcosa ai ricchi o a quelli che parlano sempre».

20 febbraio 2018