I giovani, futuro e presente della Chiesa

Dopo il Sinodo, il vicario De Donatis, il vescovo Palmieri insieme a Rita Bichi (Cattolica) e Paola Bignardi (Istituto Toniolo) hanno fatto il punto sulla sfida educativa e sul futuro della fede. Focus su obiettivo e stile dell’educatore

I giovani rappresentano il figlio già nato che come Madre interpella la Chiesa chiedendole di stargli vicino. È l’immagine evocata dal cardinale vicario Angelo De Donatis il quale ha brevemente descritto la sua prima esperienza al Sinodo dei vescovi paragonandola a due giovani sposi che prima di essere genitori affrontano solo discorsi teorici ma quando il figlio nasce li interroga per far emergere la rispettiva paternità e maternità. Occasione è stata, sabato 10 novembre, la presentazione del volume “Il futuro della fede. Nell’educazione dei giovani la Chiesa di domani”, edito da Vita e Pensiero, a cura di Rita Bichi, professoressa di Sociologia generale presso la facoltà di Scienze politiche e sociali dell’università Cattolica del Sacro Cuore, e Paola Bignardi, coordinatrice dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo.

L’incontro “Dopo il Sinodo, la sfida di educare i giovani”, svoltosi nella sala Tiberiade del Pontificio Seminario Romano Maggiore, è stato promosso dal Servizio per la Pastorale giovanile del Vicariato di Roma e moderato dal giornalista Fabio Zavattaro. Il libro di Bichi e Bignardi fa seguito all’indagine “Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia”, condotta dalle stesse autrici nel 2013. Per questo testo sono stati interpellati 167 educatori in tutta Italia tra genitori, insegnanti, sacerdoti e catechisti. Chi educa alla fede? Si può parlare ancora di trasmissione della fede? Quali sono gli obiettivi e lo stile degli educatori? Queste alcune delle domande poste agli intervistati, dalle quali è emerso che il paradigma educativo tradizionale «è in crisi» e necessita di un rinnovamento perché «riproporlo serve solo a prolungare l’agonia di un modello superato», ha spiegato Paola Bignardi, secondo la quale il rapporto tra le domande dei giovani e le risposte degli educatori «è praticamente nullo». Questi ultimi devono essere al passo con i tempi e quindi autorevoli ma non autoritari, credibili, capaci di entrare in empatia con i ragazzi.

Cosa può proporre la comunità cristiana ai giovani di oggi? Tra le buone pratiche Bignardi ha citato iniziative di servizio ideate con un’intenzione formativa e il volontariato vissuto come cura nella ricerca di fede. Ma per far questo oltre all’esperienza c’è bisogno di studio, per proporre una nuova forma di educazione basata su relazioni intense. Per Bignardi è tempo di passare «dal trasmettere la fede al generare, dall’insegnare al far vedere, dal dirigere all’accompagnare». Non è possibile trasmettere la fede come «pacchetto definito e preconfezionato». Per questo motivo ha proposto l’istituzione di piccoli cenacoli educativi nei quali gli educatori possano aiutarsi, confrontarsi, condividere proposte e iniziative, il tutto per rendere «efficace il compito educativo».

Il vescovo Gianpiero Palmieri, ausiliare del settore Est, ha curato un capitolo del libro intitolato “Formare chi forma”, dedicato ai preti. Palmieri ha tracciato quattro punti importanti nella logica della conversione alla quale i sacerdoti sono chiamati attraverso la voce dei ragazzi. Innanzitutto è importante «riscoprire nei preti la loro vocazione come educatori, superando la logica del ruolo», perché se manca la capacità di relazionarsi per chi è chiamato a educare i giovani «è un grosso problema». L’altra conversione necessaria è l’organizzazione della vita di un prete in relazione al tempo. Il vescovo ha spiegato che i giovani vogliono sacerdoti vicini e questo «richiede una rivisitazione forte della vita dei preti. Le nostre parrocchie troppo clericali appesantiscono il ruolo dei sacerdoti con incarichi che vanno al di là dell’annuncio della Parola di Dio e dell’accompagnamento personale». Terza conversione è la mediazione alla tradizione cristiana, «ripensando al linguaggio dell’annuncio. Dobbiamo essere un po’ più duttili» ha detto. Infine Palmieri ha spiegato che bisogna essere in grado di declinare la domanda di fede, perché «nelle tante domande di vita di un ragazzo è contenuta la domanda di Dio». Gli educatori devono quindi essere «esperti di feritoie, spazi in cui penetra la luce di Dio. Siamo chiamati ad essere preti in modo nuovo. Dobbiamo convertirci a una relazione empatica con i ragazzi».

Al cardinale De Donatis il compito di tracciare un bilancio della tavola rotonda. Il primo invito del vicario è stato quello di non preoccuparsi «di una pastorale giovanile basata sul “fare” ma delle relazioni, senza avere fretta di ottenere dei risultati». Ha quindi preso come modello due educatori. Il primo è stato indubbiamente Giovanni Battista, chiamato a preparare la via a Cristo «come deve fare un buon educatore». Il secondo modello è Maria e nello specifico il porporato ha analizzato la sua figura prendendo come spunto il brano evangelico che racconta il miracolo di Gesù alle nozze di Cana, analizzando le “anfore vuote” dell’educatore. «Manca il vino dell’integrità – ha affermato -. I giovani desiderano al loro fianco uomini e donne autentici». Quindi concentrarsi a riempire «l’anfora delle relazioni, del tempo e della formazione, la quale richiede un lavoro su se stessi». I veri interrogativi da porsi per il vicario sono due: dove mi trovo come educatore? Come trasmettere il Vangelo ai ragazzi? «È nostro compito non isolare le giovani generazioni – ha concluso – perché altrimenti toglieremmo loro l’appartenenza e le radici».

12 novembre 2018