Natale 1943 a San Gioacchino, padre Dressino e altri “Giusti”

La storia dei rifugiati nel sottotetto della parrocchia di Prati resta una delle pagine più significative durante l’occupazione nazista di Roma

L’anno che si conclude è stato costellato di importanti rievocazioni: gli 80 anni dalle leggi razziali, i 75 dalla razzia degli ebrei romani da parte dei nazisti, e poi ancora le decisive elezioni del 1948, l’elezione di Giovanni XXIII nel 1958, la rivolta giovanile del 1968, la tragica morte di Moro e quella di Paolo VI nel 1978. Ma mentre il Natale del 2018 si avvicina, vorrei ricordarne uno di 75 anni fa: quello del 1943 in una parrocchia romana.

Nel diario della Sezione Aerea San Giocchino (SASG) si legge: «25 dicembre 1943 giorno di Natale: per la prima volta tutti escono dopo il 25 ottobre; suor Marguerite aveva preparato il pranzo natalizio in un ampio locale al pianterreno del convento; festa e, per alcuni, incontro con i parenti». Tutti chi? Escono da dove?

La storia dei rifugiati nel sottotetto della Parrocchia di San Gioacchino ai Prati di Castello durante l’occupazione nazista di Roma è una delle tante pagine significative dell’azione dei cristiani per salvare l’umanità dai suoi predatori durante la seconda guerra mondiale. Dopo l’armistizio furono molti i militari che, rifiutando di aderire alla Repubblica di Salò, si diedero alla macchia a rischio di essere catturati, giudicati disertori e fucilati.

Alcuni si rivolsero all’Associazione cattolica della parrocchia di San Gioacchino, della quale era vicepresidente l’ingegner Pietro Lestini. Questi da principio si prodigò reperendo indumenti per chi aveva solo la divisa di cui doveva disfarsi, o procurando i biglietti per permettere ai militari di raggiungere casa. Poi chiese al parroco, padre Antonio Dressino, un redentorista di origine padovane, la possibilità di accogliere alcuni militari nei locali del teatro parrocchiale.

Per qualche giorno la situazione resse: Lestini e il sagrestano Domenico Pizzato attraversavano la strada e rimediavano pranzo e cena per i militari dal Convento delle Figlie della Carità dirimpettaie della parrocchia. Lì suor Marguerite Bernes, una francese d’Algeria trapiantata a Roma del 1933, in segreto preparava le vivande per gli “ospiti” del teatrino parrocchiale. Ma l’occupazione si fece di giorno in giorno più dura. A partire dalla razzia del Ghetto il 16 ottobre 1943 la ricerca degli ebrei di Roma divenne incessante e toccò anche il quartiere Prati. Anche alcune famiglie di commercianti che avevano il negozio in via Fabio Massimo, a due passi dalla Parrocchia, furono deportati.

Don Dressino, Lestini e suor Marguerite si posero il problema di trovare una sistemazione più sicura e pensarono di utilizzare gli spazi tra la volta della chiesa ed il tetto.  Il locale fu attrezzato per come si poteva ed il 25 ottobre gli uomini salirono dal teatrino in soffitta. Avrebbero vissuto lì dalla fine di ottobre alla liberazione di Roma del giugno successivo. In quel periodo furono ospitate complessivamente 30 persone, ma nel sottotetto risiedettero stabilmente 12/13 persone giungendo ad un massimo di 17: i componenti della “sezione aerea di San Gioacchino (S.A.S.G.)”.

Agli inizi di novembre, a causa dei controlli nazisti sempre più serrati anche verso alcuni istituti religiosi, a San Gioacchino si decise di murare la porta di accesso al locale per mimetizzarlo. Da quel momento tutto il necessario (cibo, vestiti, medicine, acqua) entrava dal rosone superiore della facciata, e la stessa via veniva presa da tutto quel che doveva essere eliminato. Il sacrestano col favore dell’oscurità si incaricava di calarsi dal tetto fino al rosone. Per facilitare le comunicazioni coi familiari si invento anche un sistema di posta “pneumatica”: le lettere arrotolate venivano calate con uno spago attraverso il buco nella volta a cui era collegato il lampadario. Il sagrestano le raccoglieva e le spediva, mentre consegnava ai rifugiati quelle ricevute.

Solo il 7 giugno 1944 la muratura che nascondeva la porta fu abbattuta e i rifugiati poterono tornare alle loro famiglie. Tra le persone accolte ce ne furono anche alcune di tradizione ebraica: i fratelli Arrigo e Gilberto Finzi e Leopoldo Moscati. Averli nascosti ed aver contribuito alla salvezza della loro vita ha visto per padre Dressino, suor Marguerite, Pietro Lestini e la figlia Giuliana (che data la giovane età faceva da “postina” tra i rifugiati e le famiglie) il riconoscimento del titolo di “Giusto tra le Nazioni”. Dai Finzi e Moscati, come da tutti gli altri hanno ricevuto una gratitudine infinita.

Padre Dressino (1877-1969) era nato a Montagnana (Padova), ed era stato ordinato sacerdote il 30 settembre 1900, ma dopo essere stato a lungo sacerdote diocesano, indirizzato dal cappuccino padovano p. Leopoldo Mandic (poi canonizzato nel 1983) entrò nella famiglia redentorista, e fu parroco a San Giocchino dal 1933 al 1942, e poi parroco fino al 1952. Spese gli ultimi 17 anni nel ministero della confessione – come il suo caro fra Leopoldo – nella chiesa di Sant’Alfonso in via Merulana.

Ma la responsabilità assunta in quei mesi di guerra per salvare vite umane, assieme ad un laico come Lestini ed una suora come Merguerite, resta come testimonianza corale di una pagina esemplare di carità e di resistenza alla logica del male. Quel Natale di 75 anni fa, in un tempo come il nostro in cui sono ancora tanti coloro che cercano rifugio fuggendo dalla guerra e da vite caratterizzate da condizioni inaccettabili di rischio e violenza, brilla come una stella che merita di essere contemplata.

12 dicembre 2018