Galimberti (Romasette.it) tra i vincitori del VI Premio De Carli

Il riconoscimento nella sezione “Chiesa e pandemia” per un articolo sulla comunità di San Nicola di Bari, a Ostia. La riflessione sul modo di comunicare la Chiesa e la tavola rotonda sul cammino sinodale, con suor Becquart

Con un articolo capace di raccontare con «disinvoltura ed efficacia la vita di una parrocchia romana e, attorno ad essa, delle chiese domestiche animate da numerose famiglie che, durante il periodo del lockdown, hanno mantenuto vive la preghiera e la solidarietà», la giornalista Laura Galimberti, collaboratrice di Roma Sette, è tra le vincitrici della sesta edizione del Premio “Giuseppe De Carli”, ospitato ieri, 16 dicembre, dalla Pontificia Università della Santa Croce. Promosso dall’ omonima associazione culturale, il riconoscimento ha visto la collaborazione dei comitati “Informazione, migranti e rifugiati”, “Giornalismo e tradizioni religiose” e della facoltà di Comunicazione istituzionale della Santa Croce.

Quel virus che “ricentra”. Diario di una Chiesa domestica“: è questo il titolo dell’opera con cui Galimberti si è aggiudicata la vittoria della sezione “Chiesa e pandemia”. La categoria “Comunicazione e migranti” ha invece visto un ex aequo: Stefano Leszczynski, di Radio Vaticana, con il podcast “Non mi chiamo rifugiato. La storia di Moussa fuggito dal Mali”, un’intervista capace di «trasmettere il messaggio che il rifugiato è la persona»; e Giammarco Sicuro, giornalista del Tg2, con “L’accampamento dei bambini”, servizio girato a Matamoros, dove centinaia di minori vivono imprigionati dentro un grande accampamento affacciato sul Rio Grande e sono vittime, ogni giorno, di soprusi e violenze. Infine, per la terza e ultima sezione, “Informazione e tradizioni religiose”, è stata premiata Sara Lucaroni di Avvenire con l’articolo “La famiglia icona dell’esodo yazida ha ritrovato casa”: la storia di una madre e dei suoi figli in fuga durante l’invasione del Califfato a Sinjar, in Iraq, approdati in Germania dopo il lungo viaggio sulla rotta balcanica.

«È incoraggiante vedere che nel mondo cattolico ci sono giornalisti che hanno contenuti da trasmettere», ha commentato il caporedattore di Radio Vaticana Italia Luca Collodi, in rappresentanza dei giurati della prima sezione, invitando i professionisti dell’informazione «a riflettere sul modo di comunicare la Chiesa e sul rischio di un’autoreferenzialità». La cerimonia è stata anche l’occasione per ospitare una tavola rotonda sul tema “Dalla pandemia al cammino sinodale per una Chiesa dell’ascolto”, moderata da Alessandra Ferraro, caporedattore Rai. Ad aprire la riflessione, suor Nathalie Becquart, sottosegretaria del Sinodo dei vescovi: «Stiamo vivendo l’attuale Sinodo sulla scia dei quattro precedenti – ha ricordato -. In particolare, il sinodo sui giovani e quello sull’Amazzonia hanno fortemente evidenziato le sfide della sinodalità come l’unico modo per la Chiesa di oggi di trasmettere la fede e annunciare la gioia del Vangelo». Un cammino in cui centrale è «l’ascolto vero e profondo: è questo il primo passo per un percorso di discernimento».

Ma i giornalisti come possono raccontare questa Chiesa in ascolto? Secondo il vaticanista Andrea Gagliarducci, «c’è bisogno di professionalizzazione ovunque, non solo nelle strutture cattoliche: durante la pandemia c’è stato un silenzio che tutti pensavano a riempire. Oggi chiunque può dare notizie, ma non per questo è un giornalista». Gagliarducci ha quindi sottolineato come «negli anni si sia curata la tecnica, ma sono stati persi di vista i contenuti profondi». È necessario dunque «cambiare prospettiva: non cercare di preparare un pacchetto accattivante per i media ma tornare a parlare con le persone». E dare voce all’altro, anche a colui che arriva da terre lontane, come ha osservato Jaime Cárdenas, docente della facoltà di Comunicazione: «Il Sinodo ci invita a guardare al mondo e tra i segni dei tempi ci sono anche i migranti con le loro storie e risorse». Bisogna cercare «approcci positivi perché la migrazione non è una crisi, ma una realtà permanente e strutturale del nostro mondo». E ha concluso: «Camminare insieme e ascoltare è il modo giusto per fare uscire queste persone dalle statistiche, per dare loro un volto e un nome».

17 dicembre 2021