«Far ascoltare il grido dei poveri»

L'intervista all'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova Evangelizzazione, in vista della Giornata mondiale del 18 novembre

Domenica prossima la Chiesa celebra la seconda Giornata mondiale dei poveri, istituita da Papa Francesco come segno tangibile del Giubileo straordinario della Misericordia. Numerose le iniziative in tutto il mondo. A Roma sabato 17 alle 20 si terrà la veglia di preghiera dei volontari nella basilica di San Lorenzo fuori le Mura. Domenica alle 10 il Santo Padre presiederà la celebrazione eucaristica a San Pietro con la partecipazione di circa 4mila bisognosi accompagnati dalle associazioni di volontariato di diverse diocesi del mondo. Dopo l’Angelus, 1.500 di loro pranzeranno nell’aula Paolo VI con il Papa. “Questo povero grida e il Signore lo ascolta” è il tema della Giornata.

 

All’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, chiediamo se a due anni dalla conclusione del Giubileo della Misericordia il grido dei poveri è ascoltato dagli uomini o è già tutto dimenticato.

«Se così fosse, probabilmente Papa Francesco nel messaggio non avrebbe scritto che questo grido si fa sempre più insistente, anche perché ci sono persone che vogliono metterlo a tacere. Dalle notizie che riceviamo quotidianamente c’è una marea di poveri che continua a essere sulle nostre strade e chiede dignità».

 

Il Santo Padre nel suo messaggio afferma che la Giornata è una piccola risposta della Chiesa intera ma anche un segno di condivisione. Come si traduce in concreto tutto questo?

Innanzitutto nel fatto che la Chiesa ancora una volta diventa la voce di chi non ha voce. Con questa giornata si cerca di far ascoltare il grido dei più poveri anche da parte di chi, con politiche economiche e finanziarie che non guardano al bene comune, ha creato queste situazioni. In secondo luogo, attraverso la collaborazione con uomini e donne di buona volontà, indipendentemente dalla confessione religiosa. È una collaborazione che il Papa chiede a tutti perché il fenomeno della povertà è immenso ed esteso oltre ogni limite. Infine, anche con iniziative concrete: ne abbiamo tante che vengono portate avanti ogni giorno, abbiamo un esercito immenso di volontari sparsi su tutti i continenti, che con generosità e dedizione mettono a disposizione la propria vita, il proprio tempo e diventano testimoni della fede nell’attenzione alle persone più emarginate. Quindi direi che da questa prospettiva abbiamo bisogno solo di mantenere l’impegno, l’esigenza che non venga mai a mancare quest’opera che, attenzione, non è assistenzialismo ma un subentrare perché venga restituito almeno un minimo di dignità a chi non ce l’ha.

 

Poche settimane fa la Caritas italiana ha presentato il rapporto sulla povertà in cui si evidenzia il legame tra svantaggio socio–economico e povertà educativa. Non si tratta dunque di alleviare solo l’indigenza materiale: cosa fa la Chiesa?

Abbiamo appena terminato il Sinodo dei giovani dove uno dei temi fondamentali è stato proprio quello della sensibilità che dobbiamo avere nei confronti del mondo giovanile su aspetti di portata mondiale, a cominciare dall’educazione, dalla formazione e dall’accoglienza. Su questi tre temi la Chiesa non fa che continuare con coerenza quella che è la sua storia. D’altra parte, nel corso dei secoli noi siamo stati quelli che hanno fatto capire l’importanza di accogliere i malati e abbiamo fondato gli ospedali; siamo quelli che abbiamo tenuto a cuore l’educazione dei giovani e sono state aperte scuole e università; siamo quelli che abbiamo cercato di far capire che il mondo ha bisogno di vivere senza dogane e abbiamo accolto. Quindi da questo punto di vista la nostra storia parla da sé. Oggi dobbiamo fare in modo che tale storia sia cosciente delle nuove necessità e quindi, anche davanti alle sfide di nuove culture che ci sono davanti, la Chiesa sia sempre pronta a dare una risposta.

 

A proposito del Sinodo: quali possono essere il ruolo e il contributo dei giovani nel combattere la povertà?

Dobbiamo considerare prima di tutto che ci sono tante povertà tra gli stessi giovani. Se pensiamo al fenomeno dell’immigrazione, di portata mondiale, e teniamo gli occhi fissi su questo, vediamo che la stragrande maggioranza dei migranti è formata da giovani. Sono tanti quelli che vivono sulla propria pelle condizioni di privazioni. Penso però che dobbiamo sottolineare il grande sentimento di solidarietà che anima i giovani. Ho personalmente visto che quando gli si prospetta qualche iniziativa di carattere sociale, di aiuto, di solidarietà, sono sempre pronti e corrispondono con estrema generosità. Credo che bisognerebbe puntare su questo perché è uno strumento che apre gli occhi per vedere le povertà che ci sono e tendere le mani per dare un concreto aiuto.

 

 

12 novembre 2018